“Le Quote Verdi siano tinte di passione e visione, oltre l’età”: lo sport system, tra giovani vecchi e nuovi
di LUCA CORSOLINI
Nel 1993, non ancora trentenne, dunque allora come oggi un giovane, Fabio Pagliara fu scelto come segretario generale della Lega Pallavolo Serie A avendo come primo requisito proprio l’età, la freschezza. Nello stesso anno io, più vecchio di due anni, dunque vecchio si fa per dire, fui scelto come responsabile comunicazione dalla stessa Lega, avendo come primo requisito la provenienza da un altro sport, nel caso specifico il basket, e per questo ritenuto portatore di una visione altra. Non necessariamente migliore: altra.
Trentun anni dopo Fabio e io continuiamo a marciare insieme, uniti anche da un comune presente di padri che con un certo orgoglio vedono i loro figli impegnati, per scelta e non per imposizione, nello stesso sport che prima di diventare lavoro è sempre stato, e probabilmente sempre sarà, una gran passione.
Abbiamo però una visione del momento diversa, esplicitata proprio qui, su Quarto Posto, da Fabio: gli vien da sorridere, in modo amaro, a essere ancora ritenuto, alla vigilia dei 60 anni, “un giovane dirigente”. Per questo chiede, in uno sport che sappiamo tutti essere autoreferenziale, e in questo portato a considerare l’età come una garanzia che i giovani non possono ancora presentare, il varo di quote verdi.
Non solo richiamandomi al precedente della Lega, non sono d’accordo e, ritenendo il tema sollevato da Fabio degno della massima attenzione, centrale anzi nella vita e nella sopravvivenza dello sport, adesso che abbiamo allargato definitivamente il perimetro della nostra attività, diventando salute, istruzione, inclusione, insomma finalmente tutto e non solo un risultato ( ricordate: Quarto Posto è un giornale #derisultatizzato ), vorrei spiegare le mie ragioni nella speranza di tenere acceso il dibattito e non di spegnerlo.
Siamo nel pieno della stagione elettorale dello sport: a leggere l’età dei candidati, che spesso sono presidenti che vogliono succedere a se stessi, Fabio potrebbe avere ragione. Piena. Ma… Qualcuno davvero si immagina di poter dire che Angelo Binaghi, il presidente della Federtennis, anzi della Federazione Tennis e Padel (e del Pickleball che verrà ) è vecchio o non giovane a 64 anni?
Lo sport ha una storia. Nel tennis l’Italia ha vinto la prima coppa Davis nel 76: 47 anni dopo l’ha rivinta, per due anni in fila, persino anticipata da successi delle ragazze nelle analoghe competizioni. Non è un merito esclusivo di Binaghi, specie qui dove siamo #derisultatizzati, ma non c’è dubbio che questo sia stato il classico ritorno al futuro. Condito da tante altre cose: il successo di Roma, le Atp Finals a Torino, adesso la Davis a Bologna, addirittura un primato nei numeri conteso al calcio, se non per una sfida reale come un manifesto (nel caso, anche elettorale ): più tennis per tutti. Con tanto di canale tv, Supertennis, ad aumentare l’esposizione mediatica già mostruosa, e sempre in positivo, prima grazie ai Fab Four adesso per la presenza ovunque di una azzurra o di un azzurro. Insomma, Binaghi ha portato una visione altra ?
La risposta è implicita. Lo sport, talune discipline, ha una storia lunga: tornare a dove eravamo nel ‘76 è un successo che ha poco a che fare con l’anagrafe e tanto invece da spartire con la progettualità del presidente (e del suo staff: ecco, Fabio, su questo potremmo avviare subito un’altra discussione. I vice e i vice dei vice non dovrebbero essere semplicemente dei signorsì, per non lasciare il loro capo troppo esposto alle sue idee). Altre discipline non hanno la stessa storia, normale che in questo caso i dirigenti, ad esempio del triathlon, siano più giovani. Ma restiamo al tema.
Le quote verdi sono una soluzione che vale in assoluto per lo sport, un ambiente comunque giovane e quotidianamente rinnovato anche se ha parecchi anni, ormai 181 anni dalla nascita della prima società sportiva italiana, 129 dalla prima edizione dei Giochi?
Quando parliamo di nuove tecnologie, e lo facciamo qui per contrasto, diciamo che le nuove generazioni vincono facilmente la partita contro madri, padri, zii e nonni. Sono nativi digitali, nascono avendo da subito una familiarità col mondo digital appunto che altri possono solo costruire nel tempo. Esiste un nuovo sport? No, lo sport è sempre quello anche se ho appena citato le nuove discipline che appunto non rappresentano altro che il segno dei tempi, un’evoluzione non una rottura.
Dunque dovremmo cercare non i più giovani tra noi, ma gli sportivi nativi ovvero quelli che, per passione, e la passione è un dato qualitativo, non quantitativo come l’età, sanno muoversi nel loro ambiente, che si tratti di tennis o di triathlon, che hanno una visione altra, che non si difendono con quella coperta di Linus che è l’autoreferenzialità e semmai sfidano i luoghi comuni col coraggio delle scelte.
Non ci servono quote verdi, ci servono quote sportive, ed è una constatazione persino più amara dovendo fotografare la situazione esistente, verrebbe da dire resistente dello sport italiano: la passione offesa perché sottomessa alla carta di identità. Chi ha passione è sempre giovane, pure con l’avanzare degli anni, proprio perché la passione è una qualità che va allenata, ha la freschezza e la progettualità, anche ribelle, dei giovani. Chi non ha passione spegne questo fuoco, lo spegne proprio, non accetta nemmeno che ci sia un fuoco lento sotto la pentola della sua attività. E senza fuoco i giovani, le quote verdi che fanno? Esprimo una visione altra, guardano anche più in là del loro naso e infatti le nuove generazioni voltano le spalle alle federazioni.
Fabio, un ultimo punto. Adesso che abbiamo un Ministro dello Sport, dunque adesso che abbiamo il massimo riconoscimento formale, siamo pure nell’articolo 33 della Costituzione, dovremmo impegnarci in una direzione che per qualcuno può essere sovversiva e invece io, da giovane… considero rivoluzionaria. Dovremmo abolire gli assessorati comunali allo sport: non perché non servano, al contrario per impegnare lo sport, e tutti gli interlocutori, a riconoscere tutto quello che c’è di sportivo nella società oggi, dalla salute all’educazione, dalla salute dei cittadini a quella dei dipendenti, dall’educazione degli studenti alla rieducazione, pur diversa, di malati e carcerati, dall’inclusione dei disabili all’integrazione degli italiani, tutti, che fanno sport. Che arrivino, questi, a medaglia o che si fermino, e a noi andrebbe benissimo, al Quarto Posto.