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Opinioni

Gender pay gap, visibilità e sponsorship: “Atlete, facciamoci sentire”, l’appello di Martina Bestagno

Redazione Quarto Posto
12 Marzo 2025
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Martina Bestagno, cestista, adesso alla Famila Schio, ma anche capitana della Nazionale di Basket, comincia la sua collaborazione con Quarto Posto con una analisi sullo sport femminile tra il sociologico e l’economico: le ragazze devono imparare a fare gruppo e a comunicarsi come squadra e come squadre.

di MARTINA BESTAGNO

Negli ultimi mesi, specialmente negli Usa, è stato registrato un boom di ascolti e di interesse per gli sport femminili; parliamo di 19 milioni di spettatori per la finale femminile di basket NCAA, o dei 9.4 milioni per la partita che assegnava l’oro nel calcio a Parigi 2024,  o l’aumento del 115% di spettatori per gara 5 delle finali WNBA. Numeri incredibili, che sottolineano una crescita esponenziale, ma…c’è un ma. 

Giorni fa mi è capitato di leggere un articolo di Sportico sui 100 atleti più pagati al mondo: ho cominciato a scorrere, e poi a scorrere ancora, fino ad arrivare a fine pagina: neanche una donna! Per il secondo anno consecutivo neanche una donna entra nella top 100 degli atleti più pagati al mondo. 

Benvenuti nel mondo del Gender Pay Gap, nella versione sportiva. Cosa voglio dire? In inglese suona tutto meglio, ma stiamo parlando del divario retributivo di genere; si tratta di un fenomeno radicato nelle societá di tutto il mondo, frutto di retaggi antiquati che promuovono modelli culturali basati sulla disparità di genere. Possiamo semplificarlo? Una donna, con le stesse competenze e lavoro di un collega uomo, verrà pagata molto meno rispetto al suo collega. È un’ingiustizia sociale ,che applicata fin troppo bene anche nel mondo sportivo.

 Un’idea del genere di divario di cui stiamo parlando? Coco Gauff, tennista statunitense, è stata l’atleta donna più pagata del 2024: ha portato a casa 30,4 milioni di dollari dopo il titolo di doppio all’ Open di Francia e il titolo alle WTA finals; in una lista più lunga si piazzerebbe intorno al 125 posto, a 7 milioni di distanza dal 100esimo. Per trovare un’altra atleta donna dobbiamo guardare oltre il 250esimo posto per trovare la sciatrice Gut, con i suoi 22,1 milioni di ricavi . Nel determinare questa lista dei paperoni sportivi a incidere tantissimo sono i diritti televisivi, che hanno fatto incrementare i tetti salariali soprattutto di leghe come NFL e NBA, i cui giocatori rappresentano il 60% degli atleti più pagati. Se per gli uomini gli stipendi/premi sono la maggiore fonte di reddito, le atlete donne devono fare invece affidamento sugli sponsor; ovvero non importa quanto tu sia brava o quanto tu faccia parte di una squadra di successo, il vero guadagno lo puoi trovare solo se sei “commercializzabile”. Tra le prime 15 atlete più pagate al mondo, esclusa Caitlin Clark, fenomeno del basket, non a caso troviamo tutte atlete di sport singoli; nei top 15 atleti uomini, 11 praticano uno sport di squadra. E’ un caso? Non esattamente. 

Seguendo un corso di sociologia dello sport, il mio professore ha spiegato come e perché le atlete di sport singoli abbiamo più possibilità di ottenere sponsor, e per farlo ha utilizzato come esempio addirittura la storia dell’arte. Pensate adesso ai quadri delle grandi battaglie; gruppi, eserciti di uomini, uniti per combattere. Ora visualizzate un equivalente femminile:  Giovanna d’Arco? Sola. Minerva? Sola. Il quadro raffigurante la presa della Bastiglia? Una donna, e sullo sfondo solo uomini. La storia dell’arte non è altro che una rappresentazione grafica delle tradizioni della nostra società. 

Possibile che ancora oggi la nostra società non sia ancora pronta a valorizzare e accettare un gruppo, una squadra di donne che lavorano o giocano per un comune obbiettivo? Possibile che per avere successo debbano fare affidamento sugli uomini piuttosto che su altre donne? Gli sport femminili di squadra ricevono meno investimenti, copertura mediatica e accordi di sponsorizzazione, non perché le atlete siano meno meritevoli, ma perché ancora oggi un gruppo di donne “guerriere” è un tabù, un’utopia, la nostra società fa più fatica ad accettarle rispetto a una singola atleta che non combatte per nient’altro se non per se stessa. 
Certo, in ogni caso non aiuta che gli uomini dominino ancora il processo decisionale nello sport, che siano uomini i dirigenti apicali delle principali federazioni sportive. Nei quasi 40 sport in programma nei Giochi Olimpici estivi, solo 2 ora hanno un presidente donna, esempio lampante di esclusione ai massimi livelli. Questo non è solo ingiusto, è immorale. 

La mia, la vostra potrebbe essere la prima generazione di atlete donne che con la loro voce, leadership e le loro competenze possono dare il via a un processo che porterà le generazioni femminili future ad avere la stessa visibilità, gli stessi investimenti e le stese opportunità finanziare dei nostri colleghi uomini, sfruttando anche la continua emancipazione della figura femminile in ogni ambito della nostra società. 

EVERYBODY WATCH WOMEN SPORTS, tutti guardano gli sport femminili, è uno slogan molto diffuso in America. Ma non basta guardare lo sport femminile, bisogna investirci, e c’è da sperare che un percorso cominciato non sia interrotto dalle politiche di Trump che vanno nella direzione opposta alla parità di genere. Intanto rivolgo un appello a tutte le mie colleghe: facciamoci sentire, usiamo la nostra voce, e uniamo la nostra voce.



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