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Giovani

“Te lo immagini un hot dog che spunta sul maxischermo dell’Olimpico mentre è in corso il Derby?”

Redazione Quarto Posto
27 Marzo 2025
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INTERVISTA A FEDERICO PAGLIARA, GIOVANE MANAGER ITALIANO DEI CHICAGO FIRE IN MLS

Di ALESSANDRO CRISAFULLI

CHICAGO – Prima, e da sempre, una passione, ereditata tra le mura domestiche nel classico passaggio di padre in figlio. Poi, passaporto e “benzina pulita” per viaggiare e studiare, studiare e viaggiare, in maniera assai brillante. Infine, se così si può dire a soli 30 anni, il lavoro. Quello dei sogni, o quasi. Quello a stelle e strisce, questo è certo. Tutto ciò – e sicuramente molto altro – è lo sport per Federico Pagliara, giovane e rampante manager sportivo italiano che si sta distinguendo in MLS, a oltre 8.200 chilometri dalla natìa Catania. “Director of partnership sales”, c’è idealmente scritto sul retro della sua maglietta biancorossa dei Chicago Fire. C’è da portare dollari nelle casse del club, in soldoni, studiando e strutturando nuovi business, nuove strategie, nuove soluzioni. 

Riavvolgiamo il nastro. Come nasce la tua passione per lo sport? Non è difficile immaginare che il dna arrivi da papà Fabio che sappiamo essere uno dei più competenti e lungimiranti personaggi dello sport system nazionale oggi e da anni.

Beh, sì. Da subito lo sport, sotto l’influenza di mio padre, è stato parte della mia vita. Ho praticato calcio e pallavolo. Ho sempre amato andare allo stadio, nei palazzetti, seguirlo in televisione. Sono sempre stato molto competitivo e sono arrivato fino in serie B1 nel volley. Poi è arrivato il classico bivio…


Studio o sport?

Esattamente. Giocavo nella squadra di Messina. In Italia è difficile riuscire a studiare e fare sport ad alto livello, sapevo che non sarei arrivato in serie A1 e che non avrei potuto fare della pallavolo la mia vita, così quando è arrivata l’opportunità di una borsa di studio per giocare negli Stati Uniti ho colto la palla al balzo. 

Ecco il primo aereo importante. Destinazione North Carolina.

Faccio una doppia laurea in Sport Management e Business Administration, intanto gioco nel campionato universitario. Poi torno in Italia, quindi ho una nuova opportunità a Newcastle, con un’altra borsa di studio, e prendo un primo Master. Rientro in patria e poi di nuovo in Inghilterra, per un secondo Master. Sempre grazie alla pallavolo, che mi è servita tantissimo per pagarmi gli studi.

Quando inizia il tuo percorso lavorativo?

In North Carolina ho iniziato come team manager della squadra femminile di volley universitaria, poi a Newcastle come “Head of Volleyball” ho iniziato a gestire tutta l’area “operations” organizzando l’intero match day e tutto quanto ruotava attorno. Nel frattempo quando c’erano grandi eventi sportivi in Italia o in Europa partecipavo come volontario: mi è servito molto per comprendere tanti ingranaggi e situazioni. Poi ho fatto uno stage in RCS Sport e quindi nel 2020 abbiamo aperto, con mio padre, la nostra società di consulenza, la FF Sports Consulting, che ci ha permesso di lavorare con clienti molto importanti.

Tra essi anche la Lega Serie A, che ti fa salire nuovamente su un aereo diretto verso gli States, giusto?

Esatto, mi affidano il compito di head of partnership per i nuovi uffici di New York della Lega: dovevo trovare nuove risorse per espandere il brand e il nostro calcio nel Nord America. E’ lì che arriva, a sorpresa, la chiamata dei Chicago Fire: non ci penso su troppo e in tre settimane, con mia moglie, ci trasferiamo nell’Illinois e iniziamo la nuova avventura.

Come ti stai trovando e di cosa ti occupi nello specifico?

L’esperienza fin qui è davvero positiva. Qui i club sono organizzati in maniera molto diversa, molto più strutturati che in Italia, come delle grandi aziende. Noi siamo più di 200 dipendenti, parliamo di 30 persone che lavorano nel marketing, 15 nelle partnership, 10 nelle attivazioni allo stadio, 50 nel ticketing: numeri impensabili per le società italiane. Qui è tutto più settorializzato e focalizzato, da un lato è positivo perchè sei concentrato ed efficace, dall’altro però forse è un po’ limitante: in Italia, e in Europa in genere, impari a fare più cose e se sei di fronte a un problema, riesci a risolverlo con più agilità. Una via di mezzo sarebbe il top. Comunque mi trovo bene, mi occupo di delineare nuove strategie e trovare ulteriori partner, per la maglia, per lo stadio, per il centro sportivo, i social, per qualsiasi cosa si possa brandizzare. Ovviamente con aziende che condividano la nostra visione e i nostri valori e con le quali rimanere connessi per tutta la stagione, con vari momenti e attività.

Quali differenze sostanziali nella cultura sportiva hai toccato con mano tra Italia e Usa?

Se rimaniamo sul calcio da noi, come in Sudamerica, è una passione travolgente, una religione, che si vive e respira. Negli Stati Uniti è puro intrattenimento. Più che su quanto avviene in campo, il focus è sul contorno. Il tifoso va a prendersi la bibita o il panino nello stand appariscente anche durante il gioco, cosa da noi impensabile. Qui tutto viene commercializzato: le iniziative di marketing sono continue, anche durante la partita. Noi, ad esempio, che abbiamo 22mila spettatori di media con punte fino ai 60mila, abbiamo questo format: per ogni calcio d’angolo a nostro favore, sul maxischermo viene fuori un ingrediente dell’hot dog tipico di Chicago. Al quinto angolo l’hot dog è completo e il nostro partner ne offre uno a tutti i tifosi. Ti immagini il wurstel che compare sul maxischermo dell’Olimpico mentre Pellegrini batte un angolo?

A livello di tecnologia applicata allo sport trovi un gap tra Italia e Usa, magari proprio riferita al tuo lavoro?

Credo sia enorme. Nel mio dipartimento abbiamo un Crm molto avanzato e una serie di software e piattaforme, dotati di intelligenza artificiale, che velocizzano e facilitano il lavoro. Ci aiutano, in automatico, a identificare possibili sponsor, ci indicano quanto investono con altre squadre o in altri settori, quanto potrebbero essere appetibili per i nostri tifosi, in base a usi, costumi e consumi dei fans. Noi possiamo sapere, ad esempio, che il 50% dei nostri tifosi ama bere tequila durante le partite, il sistema associa in automatico il prodotto a un brand ideale e prepara una email motivazionale da inviare all’azienda per proporre la partnership.

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