La storia di Diogo Jota, il ricordo del campione lusitano
di FRANCESCO MAFERA
A volte pensi: ma perchè? Perché proprio a lui? E perchè in questo modo così banalmente fatale rispetto alla straordinarietà di un percorso costruito tra tanti sacrifici? Perchè con questo beffardo destino che ti sottrae alla vita proprio nel momento più alto? Forse perchè quello stesso destino era ormai giá compiuto e della propria esistenza tanto basta per trasferire un insegnamento?
Speranze spazzate via in un attimo da una sorte maledetta che spezza una giovane audace vita nel suo momento migliore. Con il peggiore degli incubi che va materializzandosi in quella strada di Cernadilla. Un nome ed un tratto di via che riecheggeranno in un tonfo sordo sui fondali dell’anima e faranno sanguinare ancora per molto tempo una ferita che non si rimarginerà mai.
Djogo Jota non c’è più e il dolore per la sua prematura scomparsa è proporzionale alla grandezza che aveva saputo costruire e rappresentare per gli altri.
Nato calcisticamente nel Gondomar nella provincia di OPorto, Djogo era entrato nel cuore di tanti per quella sua passione sfrenata e onorata con la virtù dell’umiltà che aveva fatto di lui un giocatore simbolo.
No al nuoto, sì al calcio: una storia di sana ostinazione fino al successo
Papà gli diceva: “ti iscrivo a nuoto”, ma il piccolo Djogo replicava: “no, io voglio giocare a pallone”. Ci prova in tutti i modi, proprio lui che viveva a 10 minuti dal Do Dragao. Viene scartato dal Benfica e dallo Sporting Lisbona, per poi capire che a volte la soluzione è proprio lì, è proprio quella che la vita ti mette davanti agli occhi.
Ma serviva del tempo.
Perchè anche in quel caso la vita deve fare il suo corso. Seguire quello stesso processo talvolta apparentemente incomprensibile.
E allora altro giro, altra corsa: si riparte dalla base, da quelle radici che poi saranno il trampolino di lancio. Si riparte dall’under 17 del Gondomar nella provincia di OPorto dove tutto sembra finito. Dove tanto vale almeno provare per non lasciare nulla di intentato. E dove bisogna pagare per restare. Pagare fino a che un giorno, la vita non ti ripaga, anche nel vero senso della parola: improvvisamente su di lui piomba il Paços Ferreira e l’occhio di un certo Paulo Fonseca plana docilmente sul suo talento come una farfalla si appoggia su di un ramo. Parte la trafila che gli fa spiccare il volo: doppietta all’esordio ed una serie di grandi prestazioni inanellate dal giovane portoghese. Poi la chiamata dell’Atletico Madrid che intravede in lui grandi capacità, ma solo nell’ottica di una quantificazione economicamente strategica nell’acquistarlo ad una cifra e rivenderlo per il doppio.
Lo fa giocare, lo fa maturare ma poi lo manda in prestito al Porto. Ed ecco che però lì c’è la famosa chiusura del cerchio, il ricongiungimento che doveva avvenire a tempo debito e che rappresentava quella famosa soluzione davanti agli occhi. Quella soluzione che lo fa navigare verso altri lidi, più a nord. Quelli della consacrazione definitiva.
Il resto è storia: Liverpool, 2 volte campione della Premier League, protagonista in Champions League, nazionale portoghese. Tutto ció condito da gol belli e dall’enorme peso specifico per un Jolly che non era più soltanto quello. Era molto di più. Era luce che si accendeva fino a diventare accecante.
Era l’incarnazione di un modello di resilienza ed autodeterminazione che fa valere il concetto della possibilità concreta di essere artefici del proprio destino. Era coraggio di sfidare un limite che sembrava imposto dall’alto e impossibile da sgretolare. Un’impresa straordinaria quella di Djogo Jota in quanto culminata in un successo che non è tale in sé per sé ma amplificato anche dalla lotta fatta per ottenerlo e senza al tempo stesso avere quello come obiettivo. Perché l’unica cosa da voler inseguire era il sogno di giocare e divertirsi con un pallone tra i piedi, come anche il suo nome, Djogo, suggeriva.
Dall’epoca Klopp a quella di Arne Slot in un Liverpool di stelle dove la sua, da comprimario, non brillava certo di meno, tutti ricordano il lusitano più iconico dei reds nei tempi recenti come colui che
ha avuto un impatto storico sulla gente di Anfield. Un’ incidenza tale da far richiedere il ritiro della maglia numero 20 così da ergerlo a modello delle nuove generazioni di tifosi.
Un riferimento indiscusso da seguire con il massimo rispetto, avendo cura di una memoria da tramandare come esempio.
Ecco, Djogo Jota era tutto questo. Ed il rammarico è appunto ancora una volta quello di dover parlare al passato di un personaggio di simile portata.
Di Djogo non può peró che rimanerci la sua grande forza interiore. Quella che ha sempre avuto di voler arrivare, di fare tutti quei gradini che lo hanno portato a diventare sempre di più un grande giocatore in una percorso che vale come metafora sportiva anche per la vita in generale. Per crescere costantemente ed essere ogni giorno di più un uomo migliore. Esserlo per sua moglie e i suoi 3 figli che combatteranno un vuoto incolmabile grazie ad un ricordo che varrà anche come insegnamento. Quello della passione e della resilienza oltre ogni ostacolo e potente a tal punto che neppure la morte può in nessun modo arginarlo.