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Cultura

“Il ciclismo italiano è sparito”, intervista a GIANLUCA SANTILLI (Bike Economy)

Redazione Quarto Posto
11 Luglio 2025
  • copiato!

di STEFANO RAVAGLIA

Da Merckx a Gimondi, da Coppi a Pantani, e chissà quanti altri: il ciclismo ha sfoderato nei decenni una sequela di eroi rimasti immortali. E’ stato per anni lo sport degli italiani, che si sono immedesimati nei loro beniamini perché anche loro potevano inforcare una bici e andare lontano salendo sui pedali come facevano loro. Oggi la crisi mediatica porta a una carenza di attenzione verso uno degli sport che un tempo era seguito alla stregua del calcio. Ne parliamo con Gianluca Santilli, di Bike Economy.

Gianluca, cosa sta succedendo al ciclismo? “Il ciclismo è oggettivamente diventato una passerella, forse Tour de France a parte, che è un evento pazzesco con dietro lo Stato francese che dà una garanzia di visibilità alle tv e dei budget relativamente alti, con ciclisti che si scannano sin dal primo metro. Il ciclismo in generale non è però più uno sport primario da tanti anni, basti guardare il flusso finanziario: una grande squadra di ciclismo può avere 50-60 milioni di budget, briciole rispetto ad altri sport. Forse uno come Sinner da solo ha un budget superiore. In Italia poi, noi che eravamo leader a livello di squadre e di campioni fino a vent’anni fa, con grossi gruppi che le finanziavano, siamo sostanzialmente spariti”. 

C’è un problema anche mediatico, vero? “Abbiamo problemi prima di tutto di gestione, non siamo in grado di trattare i diritti televisivi. Al Giro d’Italia RCS non dà un euro alla federazione, a momenti il presidente della Federazione deve chiedere una autorizzazione per essere presente a una tappa. Il ciclismo italiano è in mano a RCS che ha in mano anche la Milano-Sanremo e il giro di Lombardia, che non lasciano però nulla al territorio a differenza del Tour”.

Cosa accade dunque? “Accade che se io faccio una tappa del Giro d’Italia dovrei farla perché su quel percorso c’è un territorio particolarmente bello e allora ci faccio una tappa. Invece la logica è fare una tappa dal Comune A al Comune B perché i due comuni mi pagano. Non c’è promozione, non danno indicazioni come valorizzare questi Comuni. Non fa in sostanza Bike Economy”.

Il grande campione fa la differenza negli sport che non sono il calcio? “Credo siano 130 tappe del Tour in cui non vince un italiano, parliamo di tappa, non di vittoria del tour. Guarda Sinner, sta diventando una sorta di volano incredibile per il tennis. Certo, il grande campione aiuta, come aiutarono Panatta o Tomba però in genere il grande campione non è casuale, ovvero è il risultato di un lavoro fatto a monte”

Come questa crisi si interseca con la bicicletta amatoriale? “Se ho tempo oggi mi vedo la partita di Sinner più che la cronometro di ciclismo. L’aspetto mediatico è carente perché lo sport è noioso. Ovvio che Pogacar aiuta lo spettacolo, ma credo che solo un folle possa vedere la Milano-Sanremo dal primo all’ultimo chilometro. Se accade qualcosa di significativo succede nell’ultima mezz’ora di corsa. A differenza del tennis, dove ogni colpo vale il biglietto. Il ciclismo è poco attrattivo, specialmente in un momento in cui i giovanissimi vanno a vedersi gli highlights. La Formula 1 e la MotoGP hanno dovuto inventarsi qualcosa di più veloce come le gare Sprint. L’amatore non segue, si va a fare la pedalata per conto suo”.

Anche il mondo amatoriale sta cambiando molto, perché? “Abbiamo una serie di persone che non va più nemmeno a fare le gran fondo. Se a noi due piace andare in bicicletta, se una volta facevamo carte false per andare alla Maratona delle Dolomiti, oggi ci andiamo per conto nostro, ci godiamo le Dolomiti e ce ne freghiamo della classifica che viene mitizzata come se quello che vince fosse proprio Pogacar”. 

Andiamo più nel dettaglio. “Fanno 6 ore di dirette in cui fanno vedere i primi come fosse la tappa di montagna del tour. Invece di fare una cosa un po’ ‘pop’, facendo vedere magari gli ex ciclisti storici o quelli che stanno dietro. Se devo fare carte false per essere trattato più o meno da comprimario, con i riflettori solo sui vip, sugli ex campioni o su quelli che vincono, non ne vale la pena. E allora se decidiamo noi che giro fare e in quale posto andare a mangiare, significa che il ruolo dell’amatore sta cambiando”. 

Altri esempi? “La nove colli di Cesenatico, altro esempio di gran fondo, quella che andava più di tutti. Una volta dovevi fare una lunga fila online per prenotarsi, lo chiamavano ‘click-day’, c’erano 12-13 mila persone. Oggi quella gara fa 4.000 persone. Se devo fare un giro da quelle parti mi metto d’accordo con gli amici e mi organizzo per conto mio. Oggi il cicloturismo è questo, e chi l’ha capito ha fatto fortuna, come la Valtellina: gli alberghi sono quasi tutti bike-hotel, hanno fatto una ciclabile di 100 chilometri e per loro la bicicletta è diventata un must”. 

Nel mondo amatoriale c’è chi gioca a fare il super professionista. Spiega Santilli: “Il mondo del ciclismo tende a indirizzarsi a pseudo amatoriali che hanno il personal trainer e il dietologo, ma sono ormai rimasti il 5%. Se tu devi vendere una cosa e hai il 95% da un lato e il 5% dall’altro dove va? E invece tutti preferiscono la minoranza. Non ci si rende conto che in Italia sarebbe più logico andare su quel 95%. Lavorare sui territori, per uno sport che è aperto a tutti, è sempre più democratizzato”.  Anche gli incassi dei singoli ciclisti la dicono lunga. Conclude Santilli: “I numeri del ciclismo professionistico dicono che non è più uno sport di primo piano. Pogacar, il più bravo, guadagna 8 milioni, il secondo magari 4, il gregario, che è poi quello che si fa il mazzo più di tutti, arriva a stento a 50 mila euro. L’unico sport che ha dietro una economia di indotto che vale centinaia di miliardi, non fa bike economy. E’ assurdo. La stessa RCS dovrebbe fare bike economy, fa gli utili con il giro d’Italia ma non si rendono conto che questo sport è in caduta libera. Oppure qualcuno se ne rende conto ma in molti ancora abboccano…”

 

 



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