Diario di bordo Women’s Euro 2025, la rivincita del calcio femminile
di MARIELLA LAMONICA
Ho chiuso gli occhi e ho fatto un sogno. C’erano colori che si mischiavano, campi da calcio curati maniacalmente, ondate di tifosi pronti a cantare a squarciagola per la propria squadra, nonostante il risultato, nonostante un gol divorato a pochi centimetri dalla linea, nonostante le migliaia di km che li separavano da casa, nonostante mille nonostante; poi c’erano ordine, pulizia, dipinti, un clima gioviale, una serie di uomini e donne in simpatica divisa azzurro/viola posti fuori dalle stazioni, in giro per la città, pronti a tendere una mano, a cimentarsi in mille lingue; c’erano un entusiasmo contagioso e c’erano donne, atlete, professioniste, mamme, che realizzavano il sogno di una vita, che giocavano a calcio. Lo facevano di fronte ad un’Europa intera decisi nell’inchinarsi al cospetto di magie e sacrifici che da sempre alimentano la passione di ogni ragazza che corre su quel rettangolo verde, lo facevano di fronte ad oltre 5000 americani che se ne sono fregati dell’oceano e pure del fatto che fosse un Europeo, ed alla vigilia dell’evento avevano già in tasca il loro ticket, perché per loro il calcio femminile è il primo sport nazionale e no, non puoi perdertelo per nulla al mondo, anche se la tua squadra non gioca.
Ma in quel sogno c’era anche un grande parco, il Parc de la Grange di Ginevra per l’esattezza, ed un’artista, Saype, così attenta e premurosa e sorridente, nel dipingere sul prato, rigorosamente con colori biodegradabili, le gesta di una bambina gigante intenta a giocare a calcio. E i semafori di Basilea? Sì, anche loro accesi in questo sogno, dove i pedoni erano rappresentati ancora una volta da giocatrici. In quel sogno c’ero anche io. Cammina, cammina ed arrivo a Sion, uno sguardo allo stadio di Tourbillon ed uno sguardo al Castello omonimo, così poco distante, da rendere ancora più suggestiva l’atmosfera. Stanca di camminare sono salita su un tram, rivolgendomi all’autista per fare il biglietto, ma mi ha chiesto “Stai andando a vedere la partita?”, “Certo”, gli ho risposto con un pizzico di orgoglio. “E allora tutti i mezzi di trasporto sono gratis”. “Davvero? Ma tutti tutti? Treni, autobus, tram…”, “Tutti, al gran completo” ha chiosato con fermezza. Ma no, non era ancora finita. Durante il tragitto, chiacchierando qua e là, ho scoperto un’ulteriore attenzione in favore dell’ambiente: lo stadio Wankfort di Berna, inaugurato nel 2005, ha fatto scuola alla produzione di energia con il suo impianto in pannelli fotovoltaici.
Arrivo finalmente a destinazione, mi forniscono una tabella e vedo tanti numeri, troppi numeri. Chiedo: “Cosa significano queste cifre?”. “Sul primo foglio trovi tutti i dati alla vigilia di questo grande evento: 600 mila sono i biglietti venduti, 22 su 31 le partite sold out, 114 i paesi coinvolti, 35 la percentuale che corrisponde ai tagliandi acquistati dai tifosi stranieri (61 mila tedeschi, 41 mila inglesi, 16 mila francesi, 15 mila olandesi, e 5 mila americani)”. “E sul secondo?” – chiesi quasi sbigottita. “Il resoconto economico: per la prima volta nella storia il montepremi destinato alla kermesse tocca quota 41 milioni di euro, con le giocatrici che riceveranno premi economici diretti, un aumento addirittura del 156% rispetto all’edizione del 2022, con benefit raddoppiati per i club”.
Wow, ho pensato. Che sogno spaziale! Ma proseguendo nella lettura di quel plico di fogli ho scoperto anche che Polonia e Galles per la prima volta facevano parte delle big e che sentirsi “grandi” grazie ad una Women’s Nations League che ha coinvolto 51 squadre, era una dimostrazione di crescita globale.
Ma in tutto ciò c’era un’altra insistente domanda che mi balzava in testa: ma dove sono finita? In un mondo parallelo? “No, sei in Svizzera, nel posto in cui tante bambine potranno sognare di diventare calciatrici vedendo le loro beniamine in campo nel proprio paese” sussurra Lara Dickenman, ex capitana della nazionale elvetica, “Questo è il Women’s Euro 2025, per gli amici, per le amiche come te, #Weuro2025”, mi strizza l’occhio e se ne va, indicandomi una scalinata.
Salgo i gradini ad uno ad uno, senza fatica, incredula, confusa, poi arrivo lì, leggo “Media Tribune” e mi fanno accomodare. Ma è un sedersi che dura pochi istanti, è difficile stare seduti quando davanti a me c’è così tanta bellezza. Un’occhiata a destra, una sinistra, coreografie e bandiera che si lasciano trasportare dalla leggera brezza svizzera, faccio un profondo respiro, e mi do un pizzicotto. “Ahi”. Riprovo. “Ahi”, ancora. Allora mi verso dell’acqua sulla fronte, “È fresca” penso, mentre mi sbrodolo come una bambina di pochi anni. Chiudo gli occhi, li riapro pensando di scorgere le mie lenzuola ed il solito orologio che scandisce i miei ritardi cronici…niente. Sono proprio lì, a godere degli Europei di calcio femminile, a crogiolarmi nel segno di un’edizione storica, a far parte tanto dei record quanto delle emozioni, e mentre crederci diventa un principio d’appiglio, sento in sottofondo una musichetta che conosco bene, strizzo gli occhi ponendo il focus su quella maglia azzurra, su quelle ragazze unite, su quel ct che in un’intervista a me rilasciata poche settimane fa diceva “Da quando alleno la nazionale italiana, sono un uomo migliore” e più che nel teatro dei sogni, mi sento a casa, pienamente felice. Poi mi carico di tutta l’adrenalina e l’entusiasmo di cui sono capace ed in perfetto ritmo con il resto del popolo dello stadio lancio un grido all’unisono con la convinzione che no, questo sogno che tante volte ho sognato per davvero, questa volta è reale, è mio, è un passo avanti gigante nei confronti di tutte quelle donne che spendono la loro vita per essere libere di fare ciò che amano fare e allora… …“Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”.