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Cultura

Il Bologna “parla” la lingua dei segni per un Dall’Ara inclusivo

Redazione Quarto Posto
1 Settembre 2025
  • copiato!

di FRANCESCO MAFERA 

Il calcio è diventato un’azienda, lo si sa. E la crescita di un club non è mai un aspetto casuale. Oggigiorno è sempre più interconnesso allo sviluppo di altre dimensioni come quella economica, quella tecnologica, quella strutturale. 

Nell’ultimo periodo di questa epoca, però, per gettare le basi di un successo duraturo è possibile partire anche da progetti culturali e di forte impatto sociale che avvicinino sempre più partner e tifosi. 

In questo caso, l’isola felice del nostro paese in tal senso è il Bologna FC 1909 che a partire da questa stagione, compie un nuovo, significativo passo verso l’inclusione, avviando una iniziativa dedicata alla comunità sorda. Il progetto nasce dal desiderio di rendere lo stadio Renato Dall’Ara un luogo sempre più accogliente, aperto e privo di barriere, dove ogni tifoso possa sentirsi parte integrante della famiglia rossoblù, indipendentemente dalle proprie capacità sensoriali.

La prima gara casalinga dei rossoblu della stagione 25/26 contro il Como ha perció visto l’esordio di un nuovo modo di annunciare le formazioni iniziali: sugli schermi dell’impianto della squadra felsinea non ci sono apparse solo delle grafiche con voce, ma anche dei video di accompagnamento nella Lingua dei Segni Italiana (LIS) che hanno mostrato i nomi-segno dei calciatori.

I nomi-segno: il nuovo modo di presentare i propri beniamini

Un nome-segno non è una semplice versione “visiva” di un nome ed è molto più che una semplice “traduzione”. Nella cultura sorda, esso rappresenta un elemento identitario profondo, scelto dalla comunità stessa e assegnato in base a tratti distintivi della persona, che possono essere fisici, caratteriali o legati a episodi particolari.

Per esempio, Lorenzo De Silvestri, da anni punto fermo della squadra e amatissimo dai tifosi, è noto come “il Sindaco”. Il suo nome-segno è ispirato proprio alla fascia tricolore che simboleggia il ruolo del primo cittadino – un richiamo alla sua leadership e al rispetto guadagnato nello spogliatoio e in campo.

Questo processo di attribuzione è stato curato da un gruppo di tifosi rossoblù sordi, in collaborazione con interpreti LIS e referenti dell’associazione ENS (Ente Nazionale Sordi), che hanno lavorato fianco a fianco con il Club per individuare i segni più rappresentativi di ogni giocatore. Il risultato è un progetto corale, partecipativo e profondamente rispettoso della cultura sorda.

Inclusione vera, non simbolica

Iniziative come questa non si limitano ad “adattare” un’esperienza: la trasformano, rendendola accessibile, condivisa e autenticamente partecipata. L’uso dei nomi-segno negli stadi – già sperimentato in altri contesti internazionali, come in alcune partite della Bundesliga tedesca o della Premier League inglese – è ancora raro in Italia, e il Bologna si pone come club pioniere in questo senso.

Riconoscere la Lingua dei Segni come una lingua pienamente legittima, dotata di grammatica, sintassi e cultura proprie, significa anche valorizzare la diversità e abbattere pregiudizi. Quando le persone udenti imparano e utilizzano la LIS, non solo facilitano la comunicazione: compiono un gesto di rispetto e riconoscimento verso una comunità troppo spesso invisibile. Quindi una dinamica che conduce ad una apertura culturale all’insegna dell’inclusività intesa  anche in senso opposto, ovvero laddove c’è chi, tra le persone udenti si spinge volontariamente a partecipare per conoscere e apprendere una capacità che solo una categoria di persone portatrici di questo tipo di handicap, sa praticare. Un qualcosa di particolare e originale che incentivi ad imparare, magari anche divertendosi, senza limitarsi a creare un associazionismo da contenitore volto solo al sostegno. 

Un calcio che include è un calcio che unisce

Il Bologna FC del resto ha già dimostrato, in passato, attenzione verso i temi dell’accessibilità: dallo stadio attrezzato per i tifosi con disabilità motorie, agli eventi sociali e alle attività educative promosse tramite il settore giovanile e la Fondazione rossoblù. Questo progetto, però, rappresenta una svolta culturale, perché agisce sul linguaggio, sull’identità e sul modo stesso in cui si “vive” il tifo.

Il sogno è che presto anche altri club italiani possano seguire le orme dei rossoblu, perché uno stadio senza barriere non è solo uno spazio più equo: è un luogo dove le emozioni viaggiano libere, in ogni lingua – anche quella dei segni che puó far vivere a molte più persone di prima un vero e proprio sogno. 

 

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