Sinner dice stop: quando la società moderna cancella la parola “attesa”
di STEFANO RAVAGLIA
“L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”. L’attesa, già. Un concetto completamente smarrito nella società odierna, tutta frenetica, tutta fast: fast track, fast food ma anche “furious” per citare una nota pellicola. Citazioni a parte, non c’è bisogno di scomodare cinema o TV per capire che siamo sempre più ingordi e sempre più incazzati. Ma il cibo stavolta non c’entra nulla. Abbiamo perso l’attesa di tutto: godersi un tramonto, assaporare un piatto, passare qualche minuto a chiacchierare guardandosi negli occhi, senza trastullarsi con un dispositivo, sono diventate cose che un tempo erano normali e oggi sono raccomandate dagli psicologi. La nostra società ha davvero fatto macchine indietro tutta: abbiamo bisogno di riscoprire cose che una volta erano la normalità. Ecco, lo sport è la sublimazione di questo concetto: la rinuncia di Sinner alle finali di Coppa Davis a Bologna, ovvero alla maglia della Nazionale, ha fatto partire il consueto chiacchiericcio moderno.
Non entriamo nel merito della decisione, non possiamo pretendere dal caldo di un divano di giudicare tutto ciò accada là fuori soprattutto a livelli così alto. Prendiamo per buona, e non ci vuole molto, la motivazione del calendario intasato e della necessità di mettere dell’altro tempo tra un impegno e l’altro. Ecco, qualcuno potrebbe smentirlo? La guerra sportiva tra FIFA e Uefa ha ingigantito Mondiali e competizioni europee: 36 squadre in Champions League, otto partite ciascuna squadra, lo stesso dicasi in Europa League mentre la Conference, che funziona allo stesso modo con un girone unico, prevede 6 partite per ogni partecipante. E parliamo solo della fase ormai nota come “campionato”. Tralasciando l’epoca d’oro della Coppa dei Campioni, nel 1994-95 c’erano ancora quattro gironi da quattro squadre (cioè tutte quelle campioni di ogni paese in base al ranking), poi nel 1997-98 sono diventate due le squadre da qualificare per chi aveva più punteggio (per l’Italia andarono la Juventus campione d’Italia nel 1997 e il Parma secondo), fino ad arrivare al campionato 1998-99 che per la prima volta ne portò quattro (due dirette e due ai preliminari), com’è oggi, seppur in mezzo l’Italia abbia avuto anche solo tre posti in alcune annate. Una ingordigia sempre più alta. Il Mondiale del 2026 vedrà la partecipazione di 48 squadre: dal 1998 erano 32, ancor prima 24 e via via a scendere man mano che si va indietro nel tempo.
Cambiando sport, non ne parliamo poi della Formula Uno: un tempo 14-16 gare, oggi si viaggia sulle 24-25. La regola che non possono esserci due GP nello stesso paese è stata ampiamente superata: il mercato statunitense (si corre a Las Vegas, Austin e Miami) dà a Liberty Media un bacino d’utenza vitale. Anche la Spagna l’anno prossimo avrà due gare, dato che alla canonica tappa in Catalogna si è aggiunto il GP di Madrid. Si arriva ad avere addirittura tre gare consecutive e si è fatto largo un nuovo anglicismo (come se non ne avessimo abbastanza nel linguaggio giornalistico di oggi): il “back to back”, per segnalare almeno due domeniche consecutive con gare in programma. Con conseguenti massacranti spostamenti di tutto il circo, per il quale diventa vitale avere perlomeno in calendario delle gare con paesi vicini per contenere le distanze (Usa-Messico-Brasile è il tris che stiamo attraversando in queste settimane).
E siamo al tennis: la stagione 2025 è iniziata in Asia per concludersi in Oceania, 32 tornei ATP solo fino a giugno, a cui vanno aggiunti ovviamente Wimbledon, Roland Garros, Coppa Davis, ATP Finals e ATP Finals Next Gen e chi più ne ha più ne metta. Nel solo febbraio i tornei ATP sono stati dieci: Doha, Dallas, Rotterdam, Dubai, Marsiglia, Acapulco, Delray Beach, Santiago, Buenos Aires e Rio de Janeiro. Più gare, più partite, più soldi, ovviamente: l’US Open è divenuto il torneo tennis più ricco della storia, superando quota 90 milioni di dollari di montepremi. Tornando alla Champions League di calcio, il Bologna, eliminato nella prima fase nell’edizione della stagione scorsa, la prima con la nuova formula, si è portato a casa 35 milioni. Il PSG, che ha vinto il trofeo, quasi 150 milioni.
E poi la serie A: partite dal venerdì al lunedì a qualsiasi fascia oraria per esigenze televisive. “E’ così dovunque”, dicono. No: dal modello inglese e dal modello tedesco abbiamo copiato tutto tranne le cose più importanti, ovvero mantenere molte partite in contemporanea nella fascia canonica del torneo come accade da loro (cioè il sabato pomeriggio). Non si fa tempo a commentare un match di campionato che il giorno dopo è già tempo di coppe europee, e anche i “content creator”, come si chiamano oggi, devono lavorare in fretta e furia per pubblicare in tempo un video che altrimenti il giorno dopo sarebbe già vecchissimo. Insomma, siamo davanti a una tavola imbandita degna di un buffet a Buckingham Palace. E il punto è che ai tifosi va bene così perché anche nello sport vivono la loro vita quotidiana senza stravolgimenti, nel senso che sappiamo benissimo che ogni giorno ci riempiamo di impegni (la maggior parte naturalmente inutili) perché non sappiamo fermarci, non sappiamo respirare, non sappiamo accettare di stare da soli o in silenzio per qualche ora al giorno, perché “dobbiamo incastrare”. Abbiamo bisogno di rumore, di un vortice sempre attivo che finisce per triturarci, con conseguente pesantissime come aumento di ansie, stress e disturbi della psiche. Abbiamo perso la venerazione per una parola, “attesa”, che un tempo ci faceva bruciare dentro il desiderio di qualcosa, magari quello di saltare da una domenica all’altra per rivedere in campo la nostra squadra con il risultato di goderci tutto più fino in fondo. Oggi siamo in preda più o meno a un copia e incolla, che soddisfa la nostra necessità di dopamina ma fa svanire subito l’effetto. Ecco, ci piace pensare che Sinner si sia fermato perché vuole godersi un tramonto o fare due chiacchiere con gli amici, senza forse nemmeno pensare alla prossima partita. Tadej Pogacar nel luglio del 2025 ha rinunciato a correre alla Vuelta. La motivazione? “il mio corpo ha bisogno di riposare”, disse. Ne avremmo tanto bisogno anche noi.
