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Cultura

Nasce la “Legge Bove” sul primo soccorso: sicurezza come priorità

Redazione Quarto Posto
20 Novembre 2025
  • copiato!

di FRANCESCO MAFERA  

Un disegno di legge trasversale punta a costruire una cultura dell’intervento rapido: formazione, prevenzione e responsabilità condivisa per salvare vite dentro e fuori dal campo.

Edoardo Bove in Senato, presentata la proposta di legge sul primo soccorso

Il ddl è stato voluto dai senatori Carlo Calenda e Marco Lombardo ma, come affermato dalla vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, si tratta di un testo «cofirmato da maggioranza e opposizione». Un segnale chiaro: la sicurezza nello sport non ha colori politici e richiede una visione comune. Al centro del provvedimento c’è un obiettivo semplice e cruciale: aumentare la formazione sul primo soccorso e costruire un vero ecosistema nazionale dell’intervento, capace di prevenire tragedie che oggi colpiscono con impressionante frequenza. In Italia, infatti, circa 65.000 persone all’anno perdono la vita a causa di ritardi o mancanze nel soccorso immediato, un dato che rende urgente una risposta sistemica.

“Non dovremmo aspettare il dolore per cambiare”: la testimonianza di Edoardo Bove

A prendere parte alla presentazione del disegno di legge è stato lo stesso Edoardo Bove, il calciatore colpito da un malore in campo il 1° dicembre 2024 durante Inter–Fiorentina. Visibilmente emozionato, ha espresso gratitudine e, allo stesso tempo, pudore: “Sono orgoglioso che questa legge porti il mio nome, ma non posso sentirmi il protagonista — ha dichiarato —. Ci sono famiglie che lottano su questo tema da anni, dopo aver perso un figlio o un parente. Non è giusto che il cambiamento arrivi sempre da un trauma”.

Bove ha ricordato i nomi di chi non ce l’ha fatta — Matteo Savelli, Mattia Giani, Davide Astori e tanti altri — sottolineando come il loro ricordo debba trasformarsi in una spinta collettiva a migliorare la sicurezza in ogni impianto sportivo e nella società.

Abodi: “La cultura della vita deve entrare nello sport”

Il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, ha richiamato la necessità di un salto culturale. Ha raccontato un episodio personale di molti anni fa, quando un suo cugino fu colpito da un malore mentre giocava una partita di calcio: “All’epoca mancavano consapevolezza, strumenti, formazione. Non possiamo permettere che accada ancora”.

Abodi ha posto una domanda che ha attraversato tutta la conferenza: «Perché, nonostante le leggi già esistenti, non siamo riusciti ad avanzare davvero?». La risposta, secondo il ministro, è nella mancanza di una cultura condivisa del soccorso. Non basta la presenza di un defibrillatore: serve che funzioni, che sia accessibile e che ci siano persone formate ad usarlo. “Perché nei protocolli federali non è obbligatoria la formazione degli allenatori al primo soccorso?”, ha chiesto. Una domanda che diventa invito ad agire.

La formazione come pilastro: scuola e comunità al centro

Ad intervenire a margine della conferenza anche il Presidente dell’Italian Resuscitation Council, Andrea Scapigliati, il quale ha messo in luce un dato significativo: soltanto un quarto degli italiani sa riconoscere un arresto cardiaco. Una soglia troppo bassa per un Paese moderno. “Le persone intervengono quando ricevono messaggi costanti di sensibilizzazione”, ha spiegato, indicando la scuola come il luogo chiave per educare le nuove generazioni. Nei Paesi dove questa formazione è obbligatoria, la percentuale di cittadini capaci di agire in situazioni critiche è aumentata sensibilmente.

Le istituzioni: risorse, ascolto e applicazione delle norme

Un conforto è giunto anche da parte della senatrice Simona Malpezzi che ha ricordato come già due leggi precedenti non abbiano raggiunto piena attuazione. “Il problema – ha sottolineato – non è solo normativo: bisogna garantire risorse adeguate e scrivere decreti applicativi ascoltando chi opera davvero sul campo. Solo così sarà possibile trasformare il ddl in un cambiamento concreto”. 

La vicepresidente Ronzulli ha invece ribadito il valore del testo presentato: “È una legge semplice ma ambiziosa: vuole salvare vite”. Un intento che, per definizione, non può essere messo in secondo piano.

Verso un nuovo modello: lo sport come presidio di sicurezza e responsabilità

La “Legge Bove” segna un punto di svolta: punta a trasformare lo sport in un luogo di prevenzione, consapevolezza e formazione, dove ogni atleta, allenatore e dirigente sa come intervenire in caso di emergenza. L’obiettivo non è solo rendere più sicuri i campi, ma diffondere nella società una cultura del primo soccorso che possa ridurre drasticamente le morti evitabili.

Lo sport, con la sua forza educativa e la sua visibilità, può e deve diventare un laboratorio di civiltà. Questa legge prova a indicare la strada: non aspettare il dolore, ma costruire sicurezza. Sempre. Dentro e fuori dal campo.

 

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