Mondiale di Calcio, il movimento Italiano deve rinnovarsi
Di STEFANO RAVAGLIA
Mancano ancora più di tre mesi alla resa dei conti, per l’ennesima volta: Italia-Irlanda del Nord e poi, forse, una tra Galles e Bosnia, daranno un altro verdetto sulla partecipazione della Nazionale di Gattuso al Mondiale. Qualificazione o ennesimo torneo iridato da guardare in tv, dopo quelli del 2018 in Russia e del 2022 in Qatar.
E allora sento già il rumore dei processi, come se ci fosse una sottile attesa di fondo di poter sfoderare, in caso di eliminazione, tutti quei discorsi che fanno capolino da almeno una quindicina d’anni. Si, perché non parliamo solo di non partecipazione a un Mondiale, ma anche di fallimenti ai Mondiali in cui l’Italia ha partecipato come nel 2010 e nel 2014, ultime due partecipazioni del Belpaese con Lippi prima e Prandelli poi in panchina. Giovani, vivai, strutture, stranieri, parole ormai divenute di uso comune, vocaboli che escono dalla bocca dei comunicatori come quei pupazzi che dicono sempre le stesse frasi quando gli schiacci la manina.
Naturalmente il campo deve ancora parlare, ma lo stato del sistema calcio italiano, occorre chiarirlo, non dipende da una qualificazione o meno del Mondiale. In caso di obbiettivo centrato, facile che tutti i buoni propositi di rinnovamento tornino nel dimenticatoio, ma di sicuro al contrario non c’è molta speranza che tutto cambi nemmeno in caso di un altro fallimento.
Perché questo è accaduto in tutti questi anni: l’Italia ha fallito la qualificazione a due Mondiali, ma ha vinto un bell’Europeo nel 2021, eppure nulla è cambiato. E’ notizia di queste ore l’esclusione del Rimini dalla serie C: il club entrato in liquidazione si è fermato alla trasferta di Carpi del 22 novembre. Ora, i punti ottenuti dagli avversari contro la squadra romagnola verranno tolti, verrà riscritta la classifica e si andrà incontro all’ennesimo campionato ritoccato. Quello spacciato come “campionato degli italiani”, dove il vice presidente Zola ci dice che “giocano sempre più giovani”… sì, in C. Mentre Cubarsì gioca titolare in Champions League col Barcellona, o Alexander Arnold quel trofeo lo vince a 20 anni con la maglia del Liverpool nel 2019. E gli esempi ancora potrebbero essere ancora tantissimi.
Carraro che si candida alla presidenza del Coni, Abete che esce dalla FIGC dopo Italia-Uruguay del 2014 e conseguente eliminazione dal Mondiale brasiliano, e oggi è presidente dei Dilettanti, ovvero della fetta più grande che elegge il presidente federale. Già, Gravina. Che ha già messo le mani avanti: “Non c’è una norma che mi obbliga a dimettermi in casi di mancata qualificazione al Mondiale”. Ecco, questa frase è esattamente la fotografia di un calcio ingessato, che non vuole cambiare, sia che salga sul tetto d’Europa sia che guardi il mondo da casa.
L’unica fonte di entrata cospicua continua ad essere quella dei diritti tv, ma, tralasciando le basse cifre della vendita internazionale, anche il bottino domestico non cresce più: come riportato da “Italia Oggi” pochi giorni fa, i 900 milioni circa per il quinquennio 2024-2029 sono quasi “un miracolo” dell’AD De Siervo. Cifre lontanissime dai 6-7 miliardi di sterline della Premier League e sostanzialmente stabili se non in calo.
Lo stesso De Siervo però, riguardo a Milan-Como che in febbraio si disputerà (forse) in Australia, preferisce spingere per un modello sulla Lega americana, pensando che esportare una partita a migliaia di chilometri serva a riportare la serie A al centro del mondo. Sono anni che la Supercoppa Italiana è all’estero (a proposito, sparite da tempo ormai le proteste contro il mancato rispetto dei diritti umani dell’Arabia Saudita, ingoiato anche questo boccone senza colpo ferire), e anche quell’iniziativa fu presentata come una ricetta che avrebbe fatto bene al pallone italico. In realtà la direzione non deve essere questa: il sistema va rifondato da anni, alla base, con regole chiare, pochi magheggi e nuove strutture, anche lì imprigionate dalla burocrazia, su cui fondare un nuovo ciclo. Cosa che l’Inghilterra ha capito nel 1992 e la Germania nel 2000, coi risultati che tutti sappiamo, ovvero modelli imparagonabili a quello italiano.
La realtà invece è sempre quella del Gattopardo, tutto cambi perché tutto non debba cambiare. In caso di fallimento mondiale, in primavera salteranno fuori ancora gli stessi discorsi, ma ci saranno le stesse facce e nulla cambierà. I media non sono esenti, e allora facciamo pure autocritica: articoli come questi servono a spiegare ciò che i grandi media preferiscono non dire, perché oggi parlare di calcio significa discorrere di calciomercato, gossip, fantacalcio e questioni arbitrali. Ecco, allora serve anche un cambio culturale: serve capire che le giovanili del Rimini, così come le squadre femminili, non potranno giocare per il resto della stagione per colpa di personaggi che hanno volteggiato sulla testa del club liberamente, come da anni accade. Diamine, ma chi dovrebbe controllare, cosa controlla? Sogni spezzati, ragazzi e ragazze che invece di giocare a calcio ora dovranno fare altro e magari perdersi in altri sport col risultato che diventeranno, e glielo auguriamo, medagliati in altre discipline. Capito De Siervo? Si salvi chi può.
