Quanto è bella l’Italia della Pallavolo sul tetto del Mondo?
di MARTA MULE’
Il mese di settembre ha consacrato l’Italia come la nazione dominatrice della pallavolo: prima le azzurre di Velasco hanno conquistato il titolo mondiale che mancava dal 2002, poi gli uomini di De Giorgi hanno compiuto la stessa impresa confermando l’oro iridato del 2022. Era successo solo due volte nella storia che uno stesso Paese fosse campione del mondo nel volley sia al maschile che al femminile, nel 1952 e nel 1960, ed era l’Unione Sovietica. I risultati dei nostri atleti sono stati eccezionali: le donne, già campionesse olimpiche a Parigi 2024, erano più attese perché considerate la squadra più forte di tutte, mentre gli azzurri erano arrivati all’appuntamento mondiale dopo un’estate difficile tra infortuni e problemi fisici. Entrambe si sono superate, dimostrando che la loro grande forza, oltre a una tecnica eccezionale, è stata quella del gruppo. Nei momenti difficili hanno saputo unirsi e supportarsi e tutti i giocatori hanno dato un contributo fondamentale per raggiungere l’obiettivo finale.
C’è molto da imparare da uno sport come la pallavolo: basta vedere il clima di festa nei palazzetti con i tifosi delle due squadre uno accanto all’altro, ognuno coi suoi colori, a esultare e spingere la propria nazionale. Lo definiscono uno sport per famiglie, ma forse è semplicemente quello che dovrebbe essere lo sport in generale. Le immagini degli ultimi Mondiali ci hanno fatto vedere tutta la bellezza del volley giocato grazie ad atleti che sono stati autori di giocate entusiasmanti, ma anche tutto quello che di bello c’è dietro questo sport. In un Paese che si indigna per due fratelli che si scambiano due parole e qualche sorriso in un campo di calcio, fa sicuramente bene vedere il centrale azzurro Simone Anzani che, dopo avere messo a terra il punto decisivo per la vittoria dell’oro mondiale, va a consolare il libero della Bulgaria Damyan Kolev in lacrime. Un gesto semplice e spontaneo da parte di un uomo di sport che sa cosa significa perdere e quanto può fare male e che ci ricorda che i campioni non sono quasi mai quelli che alzano le coppe, ma coloro che dimostrano umanità.
La pallavolo è uno sport dove l’avversario non è mai un nemico e dove il fairplay è parte intrinseca del gioco. Si ammettono i tocchi, non si esulta sottorete, non capita mai di vedere la grinta sconfinare in rabbia. Eppure l’agonismo è altissimo, si lotta su ogni punto e su ogni pallone e lo si fa insieme. Il talento individuale non basta, per vincere ci vuole quell’alchimia che si crea solo quando si sacrifica l’io per il noi. È uno sport dove la panchina conta tanto quanto i titolari, dove ci si abbraccia per ogni punto vinto o perso, per festeggiare o per confortarsi.
Per l’Italia è un modello vincente sia nei risultati che nei valori: stiamo conquistando trofei dal peso specifico enorme, ma stiamo anche dimostrando di avere atleti che, prima di tutto, sono persone speciali. Le loro lacrime dopo la premiazione, con la medaglia d’oro al collo, ci raccontano di un gruppo che ne ha passate tante: c’è chi si commuove riflettendo sul fatto che solo pochi mesi fa era in una sala operatoria come Roberto Russo, chi pensando che, dopo due ablazioni al cuore, non avrebbe più immaginato di potere tornare in campo, come Simone Anzani, chi ripercorrendo tutti i sacrifici fatti per raggiungere quel traguardo. Tutti, però, piangono pensando a Daniele Lavia, lo schiacciatore titolare di questa squadra, che poco prima dell’inizio dei Mondiali ha avuto un incidente alla mano che lo ha costretto a restare in Italia. Eppure lui è lì con loro: è sul podio perché il capitano Simone Giannelli sceglie di indossare la sua maglia numero 15, è protagonista del successo azzurro perché tutti i compagni gli dedicano la vittoria. L’affetto è incontenibile, straborda dagli occhi di questi ragazzi perbene, che fanno fatica a parlare per l’emozione e che, così facendo, ci mostrano cosa significa essere una squadra.
Se la pallavolo italiana trasmette questa passione e questi principi, grande merito va ai due ct delle nazionali: Julio Velasco e Ferdinando De Giorgi. Avevano già scritto la storia del volley negli anni ’90, quando il primo ha allenato il secondo e lo ha portato due volte sul tetto del mondo (1990, 1994). Oggi sono due tecnici da cui c’è molto da imparare e non solo per quanto riguarda la pallavolo. Siamo abituati ad ascoltare dichiarazioni vuote e che non lasciano niente, invece le loro parole portano spesso a riflessioni e non sono mai banali. Velasco ci ha raccontato cosa significa allenare le donne, come trattare il femminile senza paternalismo e senza un continuo confronto, De Giorgi ci ha spiegato che la chiave del successo è la capacità di includere le persone e di aiutarle, lavorando tutti insieme con umiltà.
Dietro ognuna di queste coppe c’è un lavoro che va avanti da anni, ci sono nazionali giovanili che stravincono e il progetto del Club Italia che ha dato modo a tanti atleti di trovare lo spazio per emergere. I recenti successi hanno portato molta attenzione mediatica: dirette televisive, pagine di giornali, tanta visibilità. Ma non si parla mai abbastanza di pallavolo né delle storie dei suoi protagonisti. Il modo migliore per celebrare questi risultati, invece, è continuare a seguire il volley anche quando i fari torneranno a illuminare altri campi. Le occasioni per rivedere le ragazze e i ragazzi delle nazionali che ci hanno fatto sognare quest’estate sono molte, a cominciare dai campionati italiani che partiranno a ottobre. È da lì che parte la strada per arrivare sul tetto del mondo.