Pippo Ricci, “Volevo essere Robin”, libro e dichiarazione di intenti
di EDOARDO CASATI
Nella vita e nello sport, Pippo Ricci ha imparato che i ruoli di spalla possono essere i più importanti. “Volevo essere Robin” non è solo il titolo del suo libro, ma una dichiarazione d’intenti: scegliere la lealtà, la costanza, il lavoro silenzioso a servizio della squadra e dei propri ideali. Capitano dell’Olimpia Milano, laureato e impegnato nel sociale, Ricci racconta il suo percorso con una sincerità disarmante: dalla lotta con il corpo e le aspettative, al valore della famiglia, fino alla decisione di fondare Amani Education ODV per dare un futuro a centinaia di ragazzi in Tanzania. La sua voce è quella di un uomo che ha imparato ad accettare le proprie imperfezioni, trasformandole in forza.
Il profondo legame con la tua famiglia, la tua prima carica, quanto conta nella tua vita?
“La famiglia per me è fondamentale, è stata una certezza, è sempre stata il mio porto felice. Non mi hanno mai messo pressione, mi hanno sempre accompagnato restandomi accanto, mai davanti e mai dietro ed io sapevo che qualsiasi scelta avrei fatto mi avrebbero sì consigliato ma in ogni caso ci sarebbero stati. Continuano a venire alle mie partite, papà ha consumato chilometri e chilometri della sua macchina per seguirmi in giro per l’Italia è una cosa molto bella. Ogni volta che torno a casa anche se resto per poco ho imparato a dare qualità ai momenti con loro, averli di fianco da sempre è stata una forza importante che ho avuto la fortuna di avere”.
Pippo, “Volevo essere Robin”, perché proprio questo titolo al tuo libro?
“Tutto nasce quando ero piccolo, un carnevale con mio fratello mamma ci cucì dei vestiti su misura, io ero Robin, lui Batman. Qualcuno può pensare che Robin sia geloso di Batman e che voglia essere come lui, col mantello nero e la maschera invece, mi trovavo benissimo in quel ruolo, mio fratello era il mio idolo e quindi nel ruolo dell’alleato fedele e quello fondamentale per le gesta di Batman mi ci trovavo. Poi ho scoperto che nella mia vita, nella mia carriera era un ruolo che mi piaceva ed ho capito che nel basket c’è bisogno sì dei Batman che fanno 20 punti ma anche di quelli che fanno il lavoro sporco, di quelli che non fanno le facce quando vengono cambiati, di quelli che hanno sempre una parola positiva per gli altri. Non se ne parla spesso ma sono tutte cose che fanno parte della figura del Robin, l’aiutante fedele che all’interno di una squadra è fondamentale per andare a vincere le partite, magari non farai mai 20 punti ma vai a prendere un rimbalzo importante, spizzi un pallone o fai un tuffo che ti aiuta nel vincere i campionati”.
Lasciare casa da piccolo non è facile, cosa ha significato per te? Cosa diresti a chi non lo fa per paura?
“La vita cambia radicalmente quando lascio casa e vado a Roma, non ero ancora sedicenne. È stata una scelta difficile che allora ho sottovalutato perché ero molto carico e gasato da questa opportunità. Posso dire che se non avessi fatto quella scelta, oggi, non sarei il capitano dell’Olimpia Milano e che comunque andare via di casa, buttarsi, fare un’esperienza nuova, ti fa maturare, fare una scelta così saggia è difficile ma ti fa migliorare. Consiglio a tutti di prendere e partire, salire sui treni se arrivano perché tornare indietro si fa sempre in tempo e non va assolutamente visto come una sconfitta ma come un’esperienza che ti aiuta a crescere”.
Nel libro racconti di momenti in cui non ti sentivi abbastanza o all’altezza, cos’è scattato poi in te che ti ha fatto riemergere? Dove hai preso la forza?
“Nel libro mi sono messo a nudo, racconto tante cose belle ma altrettante brutte. Ho voluto far uscire la parte umana di me, la parte fragile. La forza mi è stata data dal mio orgoglio, la voglia di dimostrare a chi non credesse in me che ce l’avrei fatta e poi, comunque, alla base di tutto c’era l’amore e la passione per il Basket. Sapevo che dopo delusioni o partite andate male, tornando in palestra, allenandomi e sudando, sotto la doccia mi sarei sentito meglio. La risposta l’ho sempre trovata nel lavoro che mi ha spinto poi a non mollare mai e a tornare in palestra per avere qualcosa in più”.
Nella tua biografia si legge che hai sofferto di disturbi alimentari, com’è stato quel periodo? Che consiglio ti senti di dare a chi vive una situazione simile?
“La lotta con il mio corpo è una lotta che dura da tempo e mi accompagnerà ancora perché non l’ho ancora superata del tutto. Ho rischiato di finire nella Bulimia, sono sempre stato goloso e da piccolo ero un po’ cicciottello però poi mi guardavo allo specchio e mi facevo schifo. Un consiglio che do è di chiedere aiuto e di non aver paura nel farlo. Io ci ho messo un bel po’ di tempo, infatti, nel libro racconto che mi sono sentito un uomo maturo non quando ho percepito il primo stipendio ma quando ho avuto il coraggio di parlare con una nutrizionista e di chiedere aiuto a chi ne sa più di me. Il grande consiglio è non chiudersi in se stessi ma abbiate il coraggio di parlare, di dire ad alta voce le cose perché quando lo si fa prendono vita”.
Nonostante la carriera cestistica già avviata hai deciso di laurearti, che significato hai dato a questo percorso? Consigli un percorso accademico anche ai giovani atleti?
“Bisogna continuare a studiare perché il basket, come ogni sport, dura ma, giustamente, ad una certa finisce. Soprattutto anche perché un po’ di tempo libero c’è e quindi il cervello va stimolato, non solo con i videogiochi o con altri sport ma anche con i libri e con lo studio. Ho continuato a studiare perché andavo bene a scuola e lo sentivo come un dovere e anche perché in quegli anni giocavo in serie B e non guadagnavo molto. Nella mia testa c’è sempre stato prima lo studio e poi il basket poi ovviamente ho capito che le due cose dovevano essere invertite. Consiglio a tutti di continuare a studiare anche perché nel mio caso, il giorno della laurea, è stato uno dei giorni più belli della mia vita per la difficoltà e l’impegno per arrivare a quel giorno. La difficoltà nel superare un esame ma allo stesso tempo la bellezza e l’energia che ti da il poterlo superare mentre stai giocando o facendo altro sono emozioni forti”.
“Trust the process” che significato attribuisci a questa frase?
“È una delle cose che preferisco perché vuol dire credi nel processo, nel tuo lavoro quotidiano anche quando le cose non vanno bene, continua a lavorare, continua a credere in ciò che stai facendo perché veramente prima o poi il lavoro paga, sempre. La mia carriera mi ha insegnato che se tu fai una cosa un giorno magari non hai risultato, se la fai due nemmeno, due settimane neanche ma dopo due o tre mesi o due o tre anni che continui a lavorare e a dare il massimo poi le cose arrivano”.
La tua Africa, il tuo progetto e la tua fondazione “Amani education ODV”, cos’è per te tutto ciò? Di cosa vi occupate?
“Il legame con l’Africa nasce tanto tempo fa, quando i miei genitori, entrambi medici, a fine anni ‘80 fecero i volontari in Africa. Hanno vissuto due anni lì, infatti, mio fratello nacque in un piccolo villaggio della Tanzania. Ho deciso di fondare Amani Education ODV perché le suore con le quali collaboriamo da diversi anni ci hanno presentato un progetto per una scuola secondaria e una volta arrivato sul posto e vedendo le potenzialità di questa collinetta ricca di sterpaglie e mattoni ho capito che se non avessi investito io nessuno, forse, lo avrebbe fatto. Il progetto era bloccato dal 2005 ed io andai nel 2022. Una volta tornato a Milano decisi di fondare Amani Education ODV, Amani in Swahili vuol dire pace, Education perché puntiamo tutto sull’istruzione. Sono tanto contento perché in tre anni, dal sogno che eravamo, il progetto è avviato, ci sono 97 studenti e per l’anno prossimo abbiamo 150 iscrizioni. Mi sono accorto che il basket lo posso usare per mandare un messaggio diverso, grazie a ciò che faccio a Milano posso raccontare di questo progetto. Essendo una ODV siamo tutti volontari, nessuno guadagna ma il creare un futuro diverso a molti ragazzi e ragazze è la nostra benzina”.
Qual è la frase o il consiglio che vorresti che rimanesse impresso a chi legge la tua biografia?
“Un consiglio si riferisce al titolo del libro, volevo essere Robin il mio viaggio fino a qui, ed il consiglio è godetevi il viaggio, infatti, un tatuaggio che ho ed al quale sono molto legato è Enjoy the Journey, goditi il viaggio, dai sempre il massimo in ogni cosa che fai e fai le cose con passione, energia e con il cuore però goditi ogni piccola cosa, non guardare sempre il risultato ma dai il massimo ogni giorno e vedrai che poi il viaggio ti porterà lontano”.
Nel mondo dello sport, dove spesso si celebra solo chi segna di più, Pippo Ricci rappresenta un modello diverso: quello di chi vince restando se stesso. Il suo messaggio, limpido e necessario, è un inno alla consapevolezza e al coraggio di chiedere aiuto, allo studio come forma di libertà, al lavoro quotidiano come unica strada per migliorarsi. “Trust the process”, dice, “perché prima o poi il lavoro paga sempre”. Ed è proprio in questo processo che Ricci trova la sua pace, la sua “Amani”: la dimostrazione che credere nel viaggio è la più grande forma di vittoria.

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