Dall’Inter all’Arabia, formando giovani calciatori: il nuovo capitolo di Fabio Sacco
Gli studenti di Sport Manager dell’ITS di Fondazione Ammi hanno avuto l’opportunità di incontrare, a distanza, Fabio Sacco, ritenuto uno dei migliori allenatori di calcio giovanile in Italia, con lunga esperienza nei più importanti vivai della Lombardia. Sacco ha raccontato il suo salto, e i primi mesi di esperienza, in un prestigioso club con base vicino ad Abu Dhabi.
Di Claudio d’Adda, redazione Junior
Fabio, quando nasce la tua passione per il calcio e come è iniziato il tuo percorso da allenatore?
La passione per il calcio è nata con me. Ho giocato fino ai 25 anni, poi ho deciso di intraprendere il percorso di allenatore. Ho iniziato al Cinisello Balsamo, una squadra affiliata al Monza Calcio. Lì ho iniziato come selezionatore, ma successivamente mi è stata proposta una squadra da allenare in autonomia. Quando il Monza è fallito, sono passato al Milan per un anno, poi sono tornato al Monza. Dal 2014 ho trascorso sette anni all’Inter e negli ultimi tre anni ho lavorato tra Inter e Pro Sesto per un progetto tecnico nato tra i due club. A giugno è arrivata la proposta dall’Arabia Saudita.
Come hai vissuto questa opportunità?
Accettare non è stato difficile, anche se si tratta di 6.000 km di distanza da casa. Il direttore italiano, con cui avevo già lavorato, è stato determinante nel convincermi. Sapevo della grandezza del club, ma è stato fondamentale il rapporto di fiducia con il dirigente. Mi sono trasferito il 25 luglio e l’ambientamento, soprattutto dal punto di vista burocratico, non è stato semplice.
Quali sono stati i principali pro e contro di questa scelta?
Dal punto di vista professionale, è stata un’opportunità stimolante. Il calcio qui si sta sviluppando velocemente grazie alla presenza di giocatori e staff stranieri. D’altra parte, la distanza dalla famiglia e l’adattamento culturale sono stati sfidanti.
Cosa è stato più complicato nell’adattarti?
Gestire la parte esterna al campo ha richiesto un’attenzione nuova da parte mia e dello staff. Creare un ambiente ideale per una squadra multietnica richiede attenzione. Per esempio, il momento della preghiera è molto importante per i ragazzi musulmani, e lo staff è composto interamente da persone di diverse nazionalità. Sono l’unico italiano, quindi ho dovuto programmare il lavoro in modo da rispettare le abitudini religiose dei ragazzi senza interferire.
Qual è il livello calcistico in Arabia rispetto all’Italia?
I giocatori locali hanno un livello leggermente inferiore rispetto ai professionisti italiani, ma l’aggiunta di stranieri alza la qualità complessiva. In generale, il livello sta crescendo e molti giocatori ora vedono il calcio locale come una possibilità concreta, anche senza dover necessariamente andare in Europa.
Come ti sei adattato alla lingua?
La lingua araba è molto complicata, quindi si parla inglese. Ho la fortuna di avere un collaboratore che mi aiuta nella traduzione dall’inglese all’arabo per i ragazzi che ne hanno bisogno. Con il tempo ho modificato il mio modo di comunicare, rendendolo più sintetico e diretto.
Come sono organizzati gli allenamenti?
Abbiamo quattro allenamenti settimanali più la partita. Uno di questi è doppio, dedicato all’allenamento individuale. Il giorno prima della partita ci alleniamo con la rifinitura. Qui il calcio non è ancora parte del DNA come in Italia o in Spagna, ma la voglia di apprendere cresce grazie alla presenza di stranieri. Gli stadi, poi, sono quasi sempre pieni.
Qual è il tuo sogno da allenatore?
Mi piacerebbe gestire un’attività di base come gli ultimi anni a Monza, dove, nonostante le difficoltà, grazie al gruppo di lavoro creato e all’aiuto del Direttore Andrissi, si respirava un ambiente stimolante per i giocatori, gli Staff e le famiglie.
Quali sono i tre tasselli fondamentali per diventare un responsabile tecnico?
Il primo è l’etica, il secondo è la preparazione tecnica e la capacità di scegliere collaboratori competenti. Poi, idee innovative oltre alla fortuna di lavorare in un centro sportivo adeguato e organizzato
Come un professionista può arrivare a lavorare in Arabia Saudita?
Non basta l’esperienza, sono fondamentali i rapporti che si instaurano nell’ambiente, tra corsi e situazioni di lavoro.
Cosa consiglieresti a chi vuole lavorare nel mondo dello sport?
Non è semplice. Vivere solo di sport è complicato, specialmente in Italia. All’estero è più facile, ma è fondamentale una formazione linguistica completa.
C’è un paese o un campionato in cui sogni di lavorare?
Mi piacerebbe molto lavorare in Inghilterra.
La questione economica ha influito sulla tua scelta?
Si, ha inciso ma non è stato il motivo principale di questa esperienza. Alla base rimangono sempre i valori umani e il progetto tecnico proposto
Cosa ti manca dell’Italia?
Soprattutto la a routine settimanale allenamenti – partita perché ci sono spesso pause tra una partita di campionato e l’altra.