Limiti ed orizzonti, la grande bellezza de “Il Saggio dello Sport” di Simone Rosi
di MARIELLA LAMONICA
A volte i social non sono un mondo a sé così lontani dai nostri pensieri, non sono contenitori vuoti di cianfrusaglie che maledici soprattutto quando ti tocca un trasloco e all’ennesimo scatolone ti chiedi “Ma queste da dove saltano fuori”, sono semplicemente un giornale che sfogli alla ricerca di materiale un po’ buttato là alla rinfusa; ti soffermi sul meme ironico, sulla foto di un amico, sulla frase filosofica o sulla pubblicità del nuovo bar che stanno aprendo in piazza. È tutto uno “scrollare”, un tempo indefinito che scorre, i colori che si sovrappongono, insieme alle intenzioni, quelle di distrarti dalla quotidianità solo per 5 minuti e poi sono ore. Ma quelle ore prendono senso e forma quando ti imbatti anche in contenuti molto più interessanti, solidi quasi, da toccare con mano.
Ed io Il saggio dello sport l’ho scoperto così.
Simone Rosi ha iniziato a scrivere nel corso della 4ª liceo, quando la sua passione per il basket e per la Nba aveva l’esigenza di trovare spazio su un foglio bianco che, pagina dopo pagina, divenne un libro. “Io ci provo, mi butto”, pensò e nel 2016/17 quel libro fu realtà. Da lì in poi era tutto più chiaro, la direzione da prendere, cosa fare da grande.
“All’università scelsi filosofia perché volevo indagare sui fenomeni sociali, ponendomi domande sul mondo, andando oltre il mio amato basket, era giunto il momento di allargare lo sguardo, di andare alla ricerca di valori, capire il significato di tante cose, e così il connubio che nacque successivamente fu un intreccio naturale tra la filosofia e lo sport, ecco perché la mia specializzazione seguì proprio questo corso”.
E ancora: “Più passava il tempo, più mi rendevo conto quanto fosse importante estrapolare valori applicabili sul campo e nella vita, smuovere i pensieri è molto più di un gioco, gli atleti smuovono energie tanto quanto lo fanno gli appassionati, chi osserva da fuori, chi fa il tifo trasmette qualcosa, anzi molto, però bisogna entrare in quella dinamica, in quell’ottica. Io faccio sempre un esempio…” Quale? “Quello dell’Odissea. È un argomento che ho trattato nella mia tesi di laurea, ma parliamo di un fenomeno mitologico, lontano nel tempo, che magari non è nemmeno esistito, eppure smuove in me qualcosa. Nello sport è uguale, è qualcosa di tanto distante, talvolta, ma che si sente comunque vicinissimo. Generalizzando: in quest’epoca viviamo, a mio avviso, in un mondo che ha smesso di credere nelle favole e nelle leggende, ecco credo che lo sport spinga verso l’eccezione, spinga a credere che qualcosa di straordinario sia ancora possibile, e che possa davvero essere quel canale, quella valvola di sfogo che porti ad evadere da un mondo, ormai, troppo virtuale”.
Il tuo primo libro, quello del 2017, ne ha visti poi susseguirsi altri 2. Ce li racconti?
“Partendo da Lo sport e l’arte di allenare i sogni”, edito nel 2023, posso dire che si tratta di un libro banalmente semplice, con tanti pensieri, ognuno a sé stante, racconto dei sogni, della bellezza dello sport, ma anche di tutti i centimetri che ho messo in fila nel mio percorso, cadendo, rialzandomi, provando e riprovando”. “A maggio 2024, invece, è uscito “Trasformare i limiti in Traguardi. Lo sport come filosofia di vita” e si tratta di un manuale decisamente più organico, che prova a spiegare perché lo sport è salutare anche e soprattutto dal punto di vista esistenziale. Si suddivide in 3 capitoli ovvero 3 problemi e suggerisce il modo in cui intervenire ed allenarci per gestirli al meglio”. “Il primo capitolo – prosegue Simone – parla del nichilismo e della mancanza di obiettivi da perseguire, conferisce fiducia nel fatto che in realtà ogni traguardo sia perseguibile se si ha il coraggio di mettersi in gioco, è una sorta di allenamento dello stile di vita dove mettersi a rincorrere, appunto, è qualcosa di forgiante, provando a farti toccare con mano la fiducia”. “Il secondo capitolo racconta la difficoltà moderna della paura di fallire. Oggi i contenuti sono filtrati, il 99% delle volte si parla di vittorie e successi, osservare gli altri nelle difficoltà è probante
così come viverle direttamente quelle difficoltà, in realtà l’allenamento serve proprio per gestire le imperfezioni, per familiarizzare con i limiti ed il fallimento, abituarsi al fatto che si possa fallire, porta inevitabilmente ad avere meno paura della stesso”. Ed infine il 3° capitolo: “Qui c’è il “ritorno alla vita”, ed è lo sport a prenderci per mano e a condurci in questo spazio, aiutandoci ad allontanarci dal mondo chiuso in cui siamo stati catapultati, fare sport significa anche fare esperienze con il proprio corpo, mettersi in primo piano, dare un senso ed una considerazione elevata al tempo che spesso, troppo spesso, diamo per scontato”.
Come affronti, invece, il pubblico social? Cosa proponi?
“Il primissimo libro è antecedente all’apertura dei miei canali, gli altri due no perché sono molto più recenti. Aprire la mia pagina Instagram, nel 2017, significava proporre frasi che raccontassero la bellezza dello sport e che fossero in grado di toccare le corde del cuore, della volontà e della motivazione, volevo solo comunicare le mie visioni. Il progetto iniziale era molto meno ambizioso, era una sorta di condivisione comune, ma nel tempo il riscontro è aumentato, i pensieri e le idee più articolate, veder crescere i numeri mi ha sorpreso, e non poco, anche se i numeri restano numeri, quello che mi preme di più, e che mi lusinga oggi, è l’aver costruito una community di persone che mi stima realmente, e c’è un’altra cosa che mi rende orgoglioso: il fatto che poche pagine generaliste di sport abbiano un target equamente diviso al 50% tra uomini e donne, questo è un grande vanto”. “Quanto alla programmazione è chiaro che ormai ho stilato una gestione abbastanza omogenea e precisa, ma onestamente non ci ho mai perso le notti, ho lasciato fluire l’ispirazione, ho visto che ciò che proponevo piaceva e sono andato avanti su quella strada”.
Costruire una community, però, vuol dire anche andare oltre, ricevere inviti ad eventi, conferenze, ecc, avere una presenza attiva anche sul territorio per dare un seguito effettivo a ciò che si produce.
“Sì, è vero, ma è qualcosa che è successo di più nell’ultimo anno, dove ho ricevuto vari inviti e a qualcuno ho detto sì, ancora pochi per dirla tutta. Nel 2024 ho partecipato al Festival Overtime di Macerata, qui ho presentato il mio libro davanti ad una classe delle scuole medie, è stata una bellissima esperienza. Confesso che le richieste per questo tipo di kermesse non mancano ma preferisco ancora rimanere ad un piano superiore rispetto all’insegnamento, alle discipline, ti faccio un esempio”. Vai. “Ci sono persone che si confidano, che mi chiedono riscontri importanti, ma c’è anche il rischio di cadere nell’astratto, nel senso che quando mi raccontano le loro esperienze, validano ciò che dico, e questo mi basta perché è ben radicato alla realtà, per tutto il resto, mi chiedo “sono all’altezza in questo rapporto di dare – avere?”; ci sono professori che hanno regalato il mio libro e questo non può che lusingarmi, ma è anche una responsabilità, oltre che una motivazione, a volte credo sia giusto che i rapporti restino di questo tipo”.
Toglimi una curiosità: come si articola la tua giornata tipo? Cosa fa uno scrittore dopo cappuccio e brioche?
“Io vivo vicino a Parma e devo dire che la mia routine nell’ultimo anno è un po’ cambiata. Lavoro in biblioteca e solitamente mi dedico a tre grandi filoni: tutto ciò che riguarda i social, quindi la scelta dei contenuti, la programmazione, la pubblicazione, tieni conto che pubblico un post al giorno weekend esclusi, poi c’è il filone libri, totalizzante soprattutto quando manca poco all’uscita, ed infine la parte più importante, quella della lettura, sia nel mio ambito, ovvero antropologia e filosofia dello sport, sia oltre, la lettura resta una delle mie più grandi fonti d’ispirazione”.
Cosa c’è in cantiere? Quali sono i prossimi obiettivi?
“In cantiere c’è un altro libro, ci sto lavorando, e poi qualche evento live in più, vorrei conquistare più autorevolezza dal vivo, raccontare le mie idee e i miei concetti in forma più ragionata. Un mio evento esclusivo? Oddio, non lo so, sono una figura che resta sempre un po’ in bilico tra il motivatore e colui che parla di sport, ma propendo sempre di più per la seconda, non penso di avere nulla da insegnare, mi vedo di più nelle presentazioni, come opinionista, scrittore…non so nemmeno come potrei definirmi in quest’epoca moderna”. Un creatore elegante? Ti piace come definizione? “Cavoli, sì, la prendo al volo, quello che è certo è che amo raccontare lo sport come un motore che illumina la nostra esistenza, donandogli degli orizzonti in cui sperare e verso cui muoversi”.