Stadi italiani: Empoli sotto la pioggia, tra gincane in tribuna e inutilizzati Space Box
di STEFANO RAVAGLIA
EMPOLI – Dalla Romagna alla Toscana, in fondo un tragitto non così lungo, un paio d’ore di viaggio sotto la pioggia battente per sbucare a Empoli, stadio Castellani (pardon, “Computer Gross”), teatro di Empoli-Milan, anticipo del sabato alle 18. Beh, la parola teatro in realtà è un po’ azzardata: nel caos pallonaro nostrano, uno dei fiori all’occhiello (al contrario) nelle discussioni da bar, che in realtà sono cose molto serie, è lo stato degli stadi italiani, unito a quello dei palazzetti del basket, delle palestre, persino degli autodromi, di cui magari un giorno parlerò a parte.
Sì, perché, e non ce ne voglia il club toscano che sta lavorando a un nuovo, buonissimo progetto di rinnovamento del suo impianto (o meglio, non proprio suo, ma di proprietà del Comune di Empoli) presentato nel luglio 2024, al quale basterebbe davvero poco perché figurasse più bello di quello che è. Chi scrive, di stadi ne ha girati tanti, quasi tutti i principali e non solo, in Italia e in Europa, ed è difficile trovare una struttura con così tanto da riammodernare come quella di Empoli, un club che pur si è distinto negli ultimi quarant’anni facendo tanta serie A spesso proponendo buon gioco (pensiamo all’epoca Sarri ma anche oggi con D’Aversa) e dando del filo da torcere agli squadroni.
Se da un lato c’è un tocco di romantico che, a dirla tutta, certamente mi fa sempre piacere (i muri basi e in mattoni, la piccola biglietteria all’angolo del viale principale che porta alla tribuna, quella sensazione di piccolo contesto familiare che ho visto solo in Inghilterra in stadi come quelli del Fulham o del Leyton Orient che sono però tutt’altra cosa, ça va sans dire) dall’altro c’è purtroppo un deficit strutturale e logistico notevole. A cominciare dalla tribuna stampa, divisa praticamente in due: tavolini ribaltabili sistemati ai due lati della tribuna coperta, e in una giornata uggiosa come questo sabato, tocca chiedere alla gentilissima addetta ai giornalisti di procurare delle salviette per asciugare i seggiolini annacquati. Lo spazio poi è angusto, ma quello capita spesso anche da altre parti: Firenze per esempio, ma anche San Siro, dove spesso serve una gincana per sedersi e una volta che ti accomodi prova tu ad alzarti e per uscire. Come ad Empoli.
L’accesso poi alla angusta sala stampa: posta sotto la tribuna, praticamente dietro a una delle due panchine, per accedervi è necessario passare direttamente dalla tribuna stessa, scendendo le scale verso il campo, come un normale spettatore, superare a colpi di accredito legato al collo i tifosi che si accalcano a fine partita per ricevere uno sguardo da Leao o Theo Hernandez, e trovarsi d’improvviso una porticina sulla destra che non salta subito all’occhio. Permettetemi poi una parola sugli Space Box: appendici della tribuna che sporgono sul campo, ovvero divanetti racchiusi da vetrate che ne dovrebbero dare un tocco esclusivo ma di cui onestamente non si capisce l’utilità. Naturalmente, la pioggia che cade copiosa, ne rende impossibile il suo utilizzo. Anche i buffet organizzati sistemando i tavoli sotto dei tendoni dietro le panchina, non è che siano proprio un bel vedere. La pioggia ha inciso, certo, ma in ogni caso anche qui ci sarebbe da metter mano.
Da ultimo, oltre alla pluriennale situazione delle due “curve”, ovvero gradinate prefabbricate sistemate una di fianco all’altra a raggera e ben lontane dal campo (perché naturalmente anche a Empoli c’è la pista di atletica), ancor più desolante è quel pezzo di gradinata che pare non centrare nulla con il resto della struttura e che si trova a fianco della tribuna coperta, laggiù in basso, quasi fosse intimidita e in soggezione rispetto alla più alta struttura che la affianca. E naturalmente, scoperta: perché se si fa eccezione per le due tribune, anche qui, come a Bologna, Firenze, Reggio Emilia e in mille altri posti, l’avventura va affrontata con impermeabili ed ombrelli. E a questo proposito diciamoci la verità: se ci avessero detto 40 anni fa che nel 2025 avremmo preso posto, in una giornata di pioggia, dentro stadi in cui beccarsi l’acqua per più di novanta minuti, non ci avremmo davvero creduto.