Come si comunica lo sport oggi? Riflessioni di Gianni Merlo, Presidente stampa sportiva internazionale
a cura di STEFANO RAVAGLIA
I braccetti, il piede invertito, il falso nove. E poi i telecronisti urlanti che si sostituiscono all’evento buttando là improvvisate citazioni letterarie che nemmeno loro ovviamente hanno letto. Le prime pagine dei giornali dedicate al calciomercato, gli sport minori messi in secondo piano, atleti etichettati come “predestinati” che non hanno ancora vinto nulla, però. Tutto questo e molto altro è il racconto sportivo di oggi, elementi che ci consentono una riflessione profonda. Come viene comunicato oggi lo sport, nel senso più stretto della sua attualità?
Sul fatto che si parli sempre e solo di calcio in prima pagina, occorre fare però una specifica: innegabile lo spazio dato a Sinner, alla pallavolo medaglia d’oro alle Olimpiadi e a tutte le altre discipline che hanno portato medaglie all’Italia, o all’arrivo di Hamilton in Ferrari. Certo, il calcio è ancora dominante, ma una breccia si è aperta. Molto meno confortante il bombardamento di urli e esclamazioni in telecronaca, sin dal principio, ovvero da quando le squadre entrano in campo con l’evento introdotto dalla voce narrante come fosse la battaglia decisiva per le sorti dell’umanità. Il cronista commette oggi un errore fondamentale: sostituirsi all’evento. Vuol dire la sua su un contatto da rigore (ovviamente dopo aver visionato 400 replay), vuole raccontare aneddoti di questo o quel calciatore che non so quanto possano interessare, vuole soprattutto lanciare citazioni che facciano intravedere un improvvisato spessore culturale. La prosa è enfatica e spinta anche dalle esigenze commerciali delle televisioni che debbono vendere un prodotto, ma finisce per essere gioco forza dannosa per l’evento. Che va raccontato nella sua essenzialità, senza troppi orpelli, elemento di cui invece oggi si abusa.
L’argomento arbitrale poi, ma questo accade da anni, è sempre in prima linea, in qualsiasi salsa. Anzi, quasi si spera che al lunedì ci siano tanti disastri da raccontare, commessi dai direttori di gara, per aizzare la folla. Lo storytelling poi: in gran parte per merito dei racconti di Federico Buffa, è certamente un toccasana aver diffuso la cultura dello sport, materia che è tutt’altro che lontana da intrecci storici, letterari e epici. Di calcio ne ha scritto anche Umberto Saba, ne hanno parlato Soriano e Galeano, lo ha cantato De Gregori. Il calcio e lo sport sono materia culturale. Un po’ meno bene fa invece l’emulazione: in molti si sono creduti piccoli Buffa, improvvisandosi cantori del football o sfornando storie trite e ritrite che ogni tanto compaiono sui social (due esempi inglesi che sbucano fuori ogni anno, puntuali: il portiere che durante una partita si perde nella nebbia e il Boxing Day del 1963 in cui vennero segnati 66 gol in dieci partite). Bene, ma non benissimo. Unito ad altre criticità come quella di ritenere un giocatore “predestinato” (o un pilota, nel caso per esempio di Leclerc), le cui tracce poi si perdono da lì a poco. E il vizio vecchio come il mondo, ovvero quello di ritenere sufficiente il risultato di una partita perché si cambi idea su questa o quella squadra.
Gianni Merlo, presidente della associazione stampa sportiva internazionale, intervenendo alla trasmissione “Il pallone gonfiato” sull’emittente regionale in Emilia-Romagna, Icaro TV, domenica 16 febbraio, ha sottolineato la mancanza di una scuola che possa istruire i giovani giornalisti a comunicare bene lo sport: “Quello che manca è la scuola sul campo che ti insegna a descrivere un fatto. Oggi i giovani ragionano solo per immagini e le foto, e non ha più il vocabolario per descrivere un fatto. Le immagini servono per fissare un fatto. I sentimenti li dobbiamo poi mettere noi. Noi ricevevamo la notizia alle 11 del mattino e avevamo tutto il giorno per cercare di verificarla e scriverla, ora la ricevi alle 9 del mattino e dopo un quarto d’ora ti chiedono di scriverla. O hai una mente allenata a scrivere subito o sennò ti accontenti di mettere quello che riesci”.
Sempre di attualità nelle parole di Merlo poi un elemento fondamentale nell’osservazione dei contenuti oggi, ovvero la soglia di attenzione bassa: “Tutti danno per scontato che tutti già sappiano, pubblicano le foto con belle frasi senza capire le persone che sono raffigurate in foto. E anche nei rapporti normali, al di fuori del giornalismo, è la stessa cosa. La gente non ha più il tempo di verificare se certe cose sono giuste o meno. Dobbiamo fare una certa rivoluzione mentale ora, aprirci la testa, aiutare i giovani a uscire da quello che è la logica dei social intesi come strumento limitato. Puoi raggiungere molta più gente di prima oggi ma oggi tutti guardano un attimo e poi passano all’altro”.
Insomma, un quadro poco confortante. Favorito dalla diffusione, ormai da anni, di nuovi media, che hanno permesso a tutti o quasi di improvvisarsi giornalisti pensando che basti un video e un microfono per fare comunicazione. AAA cercasi maestri, non nel senso più saccente del termine, ma quasi una disperata richiesta di aiuto per non imboccare una via di non ritorno.