Ambrogio Fogar, l’Uomo e il Personaggio. L’ultimo viaggio controvento
di ONORATO ARISI
Ai tempi in cui ero Direttore del mitico , vero e unico, Museo di San Siro, uno dei miei impegni più importanti—che riscosse un grandissimo successo, tanto da ricevere il Premio Fair Play dal CONI Provinciale di Milano nel 2004—fu quello di portare personaggi dello sport a parlare e raccontarsi davanti ai ragazzi delle scuole. E bisognava trovare i personaggi giusti, cercando di evitare i calciatori, che si impegnavano così poco nel dialogo da ispirare solo domande banali.
Un giorno riuscii a portare, davanti a oltre 300 ragazzi, le sorelle di Ambrogio Fogar, Maria Grazia e Rita. Per quel pubblico, Fogar era solo un nome, ma la sua storia meritava di essere raccontata, per non dimenticarne la vita, le imprese, persino i drammi, affrontati sempre con grande coraggio.
Ho ammirato Ambrogio, ho amato la persona e il personaggio, ho seguito le sue imprese come fanno oggi i ragazzi con i supereroi. Ma lui non era un video di YouTube o di TikTok, né un fumetto. Lui era un uomo vero. Era lo spirito libero, testimone e testimonial del sogno di un’avventura controvento, che sembrava fatta su misura per quell’epoca: gli anni ’70.
Fogar ci ha insegnato che si poteva viaggiare per aria, terra, acqua e in spazi lontani anche solo con la fantasia. Attraverso i suoi occhi ci ha raccontato di animali, vulcani, deserti, ghiacciai, mari e rotte, sempre controvento. Ha vissuto gloria, onori, tragedie. Ha attraversato mille polemiche e si è confrontato con altrettante invidie, sempre da solo. La sua vita è stata una continua preparazione, un allenamento a prove sempre più al limite.
Raccontare delle sue imprese è riduttivo. Per fortuna, ci sono i suoi entusiasmanti libri: li consiglio tutti. Ma non si può non ricordare la sua celebre barca, il Surprise, sulla quale, in 402 giorni, tentò il giro del mondo in solitaria, come sempre in direzione opposta alle correnti, con mezzi tecnici da preistoria della comunicazione. Quell’impresa storica si concluse a Castiglione della Pescaia, tra due ali di barche e migliaia di persone a rendergli onore.
Fu in quel momento che nacque la sua leggenda, che lo spinse a rischiare sempre di più. Per qualche tempo si dovette fermare, impegnato in mille appuntamenti, capace perfino di arrivare al successo incidendo un disco.
Ma nel 1978, irrefrenabile come sempre, partì di nuovo sul suo Surprise. A bordo con lui c’era l’amico e giornalista Mauro Mancini. Proprio in pieno oceano, la barca venne assalita da un branco di orche. Il Surprise affondò, e Ambrogio e Mauro si salvarono grazie a una piccola zattera gonfiabile. Per 74 giorni, mentre il mondo intero li cercava disperatamente, sopravvissero con acqua piovana e catturando due cormorani.
Le speranze e le preghiere ormai sconsolate di tutti presero la forma di un mercantile greco, che li raccolse e li portò a bordo. Dopo qualche giorno, l’amico Mancini morì di polmonite, e su Fogar piovvero polemiche e accuse pesantissime.
Passarono poi anni tra libri e trasmissioni in TV, fino a quando arrivò un’altra chiamata irresistibile: quella del ghiaccio del Polo Nord. Ambrogio si preparò scrupolosamente. Il suo equipaggiamento era scarno: una slitta artigianale, una tenda. Ma con lui c’era un meraviglioso Siberian Husky di nome Armaduk, che divenne subito il cane di tutti e continuò ad esserlo per 17 anni, nella sua pensione dorata da attore di spot pubblicitari.
Questa impresa, pur non completata, restituì vigore a Fogar, che, dopo aver affrontato neve, aria, acqua e ghiaccio, si cimentò nel deserto durante la Parigi-Pechino.
Il 12 settembre 1992, il suo fuoristrada si capovolse. Da quel giorno, Fogar rimase paralizzato: la peggiore punizione che il destino potesse riservargli. Resisterà 13 anni in un polmone d’acciaio per respirare, parlare e vivere, sempre sperando in una ripresa per dedicarsi a una nuova avventura.
I racconti emozionanti ed emozionati delle sue sorelle colpirono profondamente i ragazzi delle scuole. Furono incontri educativi e commoventi, che lasciarono gli studenti con il fiato sospeso. In un mondo che ha perso tanti ideali, conobbero un uomo che aveva scelto con coraggio di averne.
Ambrogio Fogar è morto nel 2005, esattamente vent’anni fa, dopo aver assaporato tutto il dolce e l’amaro della vita.
Oggi riposa al Cimitero Monumentale, tra i grandi figli di Milano. Ma non possiamo esserne sicuri: forse la sua anima sta esplorando l’universo, l’unico grande spazio che gli mancava. Un ultimo viaggio, sempre controvento.