Direttrice Sportiva, intervista alla apripista Barbara Rossi. “La strada? La cultura”
di MARTA MULE’
Parigi 2024 è stata definita la prima edizione olimpica della parità perché il Cio ha voluto fortemente che partecipasse lo stesso numero di atleti e atlete per dimostrare la volontà di superare il gender gap e di valorizzare allo stesso identico mondo lo sport maschile e quello femminile. È stato un primo passo, ma non basta, perché quando si analizza l’occupazione femminile nello sport i dati che emergono sono ancora impietosi. Agli ultimi Giochi Olimpici, per esempio, la delegazione italiana era composta da 449 accreditati: di questi solo 71 erano donne. In 131 anni di storia non c’è mai stata una presidente del Cio e in 121 anni non c’è mai stata una presidente del Coni.
Attualmente le donne a capo di una federazione in Italia sono solamente due su cinquanta: Laura Lunetta (Fidesm) e Maria Lorena Haz Paz (FCrI).
Anche guardando in tutti gli altri ruoli tra medici, fisioterapisti, allenatrici, addetti stampa, il divario è enorme. Una delle rare eccezioni arriva dalla pallavolo, dove Barbara Rossi ricopre dal 2018 il ruolo di direttrice sportiva della Roma Volley Club in serie A femminile. È una delle pochissime donne che nel nostro Paese ha questo incarico, l’unica a un livello così alto. È stata prima giocatrice, poi allenatrice, infine dirigente, ma nel frattempo ha anche studiato per diventare pedagogista e a 50 anni ha conseguito una seconda laurea magistrale in psicologia clinica, dimostrando che non c’è un tempo per raggiungere i propri obiettivi: nello sport, però, ha dovuto fare i conti col fatto di essere sempre la prima o l’unica.
«Lo sport è un mondo ancora estremamente maschile perché c’è una rigidità nel cambiamento e nel non volere vedere la donna presente in certi ruoli. Stiamo ancora combattendo contro i pregiudizi e questo è evidente anche solo guardando gli staff dei club e delle federazioni che sono a stragrande maggioranza maschili. Nella pallavolo, disciplina praticata più da ragazze che da ragazzi, le allenatrici sono rarissime perché per anni si è creduto che l’allenatore dovesse essere un uomo e anche a livello dirigenziale ci sono alcune presidenti, ma poche. Quando sono diventata direttrice sportiva del Volley Pesaro nel 2011 non avevo altre donne che potessero farmi da esempio e ho dovuto lavorare per sviluppare una consapevolezza di me. Adesso al Roma Volley Club sono in una società che crede in me e in cui lavoro con uomini con cui ho superato il discorso di genere nonostante le diversità. Alla base c’è il rispetto e la possibilità di esprimere i propri contenuti a prescindere dal sesso».
Parte del motivo per cui le donne hanno maggiore difficoltà a ricoprire certi ruoli, secondo Rossi, è dovuto al fatto che sono arrivate più tardi nel mondo sportivo: le atlete hanno parzialmente compensato questo gap, mentre dal punto di vista dirigenziale c’è ancora una percentuale bassissima di figure femminili. «Da alcuni anni si è deciso di introdurre le quote nei consigli federali e quindi alcune donne sono riuscite a entrare perché era una cosa dovuta. Questo è un po’ triste perché le valutazioni sulle persone andrebbero fatte sulla base della loro professionalità, ma se alle donne non si danno le stesse possibilità, questa è l’unica strada».
La partecipazione e la presenza del pensiero femminile sono stati a lungo limitati nello sport così come in tanti altri ambiti col risultato che ancora oggi certi traguardi sono celebrati in quanto eccezionali. «La storia è scritta dagli uomini e spesso filosofe, scienziate, storiche, artiste non sono considerate e ricordate anche se sono esistite. Questo determina una mancanza enorme perché la donna è sempre stata vista solo nel contesto domestico. Oggi si parla tanto di rispetto, di uguaglianza e di parità, ma sono valori di cui dobbiamo ancora appropriarci. Non è un luogo comune dire che le donne devono dimostrare molto di più dei loro colleghi e che comunque arrivano in certe posizioni solo se ci sono uomini illuminati che glielo concedono. Anche nel mio percorso quello che ho fatto l’ho fatto grazie a uomini che non hanno avuto paura di aprirsi al confronto e alla diversità di pensiero e che hanno riconosciuto le mie capacità».
La storia professionale di Barbara Rossi, che è stata presidente e direttrice sportiva della Volley Pesaro, promossa fino in serie A femminile, poi direttrice sportiva della Roma Volley Club, attualmente nella massima serie e, dal 2016 al 2020 anche prima donna presidente del Panathlon di Pesaro-Urbino, ci dice che raggiungere determinati ruoli è possibile, ma non è semplice e non basta solo essere qualificate e capaci. «Per anni ho partecipato a convegni con soli uomini che parlavano di sport senza che ci fosse una donna che facesse lo stesso, adesso quando vengo invitata io penso che ho la possibilità di rivolgermi ai giovani e fare sentire loro una voce e un punto di vista diverso che dia loro una visione più equilibrata».
La soluzione per incrementare la presenza femminile nelle posizioni apicali dello sport secondo Rossi è solo una: la cultura. «C’è bisogno di percorsi di formazione per i dirigenti per svilupparne le competenze. Lo sport deve crescere perché per troppi anni è stato visto più come una passione e meno come un contesto di professionalità e questo ha rallentato tantissimo questo mondo». Il sogno è quello di un mondo sportivo più aperto e inclusivo, dove il diverso apporto di ognuno possa portare ricchezza e dove la presenza femminile non sia più né un obbligo né un peso, ma un valore aggiunto per crescere insieme.