Sport e anoressia: opportunità e rischi. Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla
Per la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata alla sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare, pubblichiamo un intervento del dott. Santo Rullo, membro del nostro Comitato Editoriale, sul rischio di overtraining nei disturbi dell’alimentazione.
Il contributo si trova anche all’interno del libro “Io sono l’anoressia”.
di SANTO RULLO
Responsabile Comitato Scientifico ECOS European Culture and Sport Organization
Entro nel punto jogging di un parco romano per i miei 10 km di corsetta. Ci si cambia rapidamente e si scambiano due parole di convenevoli: le prossime gare amatoriali, i metodi di allenamento, le ripetute, le scarpe di ultima commercializzazione, i benefici fisici e psicologici del running, il turismo podistico. Qualcuno rientra a cambiarsi, sudato, ma soddisfatto… direi quasi felice. Che l’esercizio fisico abbia un grande potere di influire sul benessere delle persone è cosa nota a tutti: quanto influisca su alcune funzioni mentali è pubblicato su riviste scientifiche, ma fa fatica ad entrare nelle prassi di intervento sanitario. Più frequente è il suggerimento ai pazienti cardiopatici o diabetici (come il sottoscritto) di svolgere attività fisica almeno trisettimanale per ridurre l’impatto delle loro patologie e le relative complicanze legate alla sedentarietà; meno noto è il potenziale preventivo dell’esercizio fisico nelle malattie oncologiche e in tutti i disturbi psichici. L’apparato locomotore infatti attraverso la contrazione dei muscoli scheletrici, oltre a svolgere il proprio compito biomeccanico, stimola la produzione ed il rilascio di messaggeri extracellulari come le citochine, il BDNF (fattore della crescita neuronale), l’Irisina (ormone dello sport), la termogenina e soprattutto la Dopamina e la Serotonina (neurotrasmettitori che regolano i processi cognitivi ed emotivi) influenzando il metabolismo, modificando la loro produzione nei tessuti e negli organi, stimolando il sistema nervoso centrale in senso antidepressivo.
NEL PUNTO JOGGING del parco ci sono presenze eteree e fugaci: sono ragazze (prevalentemente) e ragazzi (per la verità molto pochi) che saltano i convenevoli, spesso corredati di cuffiette per l’ascolto della musica, e partono a razzo per la loro attività di corsa. Difficilmente si vedono tornare in tempi umani, ogni tanto li si incrocia sulle stradine del parco, immersi nella loro musica, apparentemente privi di contatto con l’ambiente, con gli altri, con se stessi. Sono ossessivamente preoccupati per il loro aspetto fisico e hanno il desiderio di modificarlo aspirando alla perfezione. Una perfezione fatta di magrezza estrema per le anoressiche, di una muscolosità imponente per i vigoressici. Punto comune di entrambe le condizioni è l’overtraining, l’eccessivo allenamento che, se per gli atleti professionisti rappresenta quel confronto con il proprio limite che lo sport spinge a fare, seppur in maniera relativa e nel rispetto della salute fisica e mentale, per le persone con un disturbo del comportamento alimentare diventa una sfida a volte mortale ai propri limiti fisici e mentali.
Un ampio sottogruppo di persone con disturbi dell’alimentazione pratica infatti un esercizio fisico eccessivo per controllare il peso e la forma del corpo. Sostanzialmente però questa pratica è volta a modulare le emozioni, in particolare quelle negative. L’overtraining è più frequente nelle persone che soddisfano i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa tipo con restrizioni, ma è comune anche negli altri disturbi dell’alimentazione, inclusa naturalmente la vigoressia. La persona si sente obbligata o spinta a esercitarsi, da la priorità rispetto alle altre attività della giornata (per es. scuola o socializzare), con conseguenti sensi di colpa e ansia quando è l’attività fisica è impossibile o rimandata.
LE PERSONE A RISCHIO di sviluppare disturbi del comportamento alimentare spesso presentano una difficoltà nella regolazione delle emozioni, sperimentano frequentemente emozioni negative molto intense e utilizzano stategie disadattive per regolarle, quali il controllo del cibo, l’uso di sostanze o l’autolesionismo e per l’appunto l’esagerato esercizio fisico.
Ma che rapporto c’è tra emozioni e vissuto corporeo e tra questo e attività fisica?
L’emozione è un processo affettivo intenso ed incontrollabile che porta con sé una componente sostanziale somatica, oltre che elementi cognitivi prevalentemente astratti, provenienti dalle esperienze emotive precedenti. Tutti sappiamo cosa è la paura o la gioia, la noia o l’imbarazzo, ma ciascuno di noi “sente” le emozioni in modo differente; tutt’al più le identifica e tenta di attribuirgli un nome per poterle riconoscere e comunicare. La psicologia ne ha concettualizzate più di 25 e classificate in primarie e secondarie, ma il vissuto emotivo di ciascuno è essenzialmente corporeo, evolutivo e personalissimo, mai separato dai processi cognitivi che lo accompagnano. Il sistema limbico, ossia il cervello emozionale, risponde agli eventi in stretta collaborazione con il sistema nervoso autonomo determinando il vissuto corporeo dell’emozione. Come dice la stessa etimologia del termine “emozione” ossia ex-movere, si porta fuori ciò che è stato percepito e rapidamente elaborato per trasformare il processo interno in un’azione esterna. Se questo iter viene ostacolato o interrotto l’emozione produce reazioni somatiche o comportamenti inappropriati: una tristezza incapace di produrre un cambiamento nelle situazioni che l’hanno determinata porta ad un tentativo fallimentare di controllarne l’esito, spostando l’effetto altrove. E’ chiaramente il caso del comportamento alimentare. Il rapporto con il cibo è carico di determinanti psicologiche e l’alimentazione è uno dei comportamenti con i quali le persone esprimono se stesse ed il loro modo di essere nel mondo, coinvolgendo gli impulsi più istintivi e vitali della loro vita affettiva. Quanti di noi in un momento di stress emotivo non si sono ritrovati a ingurgitare cibo spazzatura fuori pasto oppure a vivere momenti di completa inappetenza, con i conseguenti sensi di colpa e di inadeguatezza? Chi non ha sperimentato quella spasmodica ricerca di cioccolata che segue una frustrazione amorosa? O ancora chi non ha visto un ragazzo che smette di mangiare o che inizia ad essere particolarmente selettivo nei cibi quando l’atmosfera emotiva familiare diventa pesante o conflittuale?
DESIDERIO E PIACERE, paura, diffidenza e diniego sono le emozioni che accompagnano il rapporto con il cibo. E spesso le emozioni che non riescono ad essere espresse nelle relazioni si nascondono negli alimenti che vengono quindi controllati, sminuzzati, rifiutati, ingurgitati o vomitati. Ci si abitua a sostituire la gestione delle emozioni con la gestione del cibo, il controllo delle emozioni con il controllo o il discontrollo dei pasti… si diventa bulimici o anoressici per abitudine ancor prima che per malattia.
I disturbi psichici sono in effetti cristallizzazioni di abitudini che, se per un verso hanno funzionato in qualche situazione, diventano abitudini per tutte le stagioni a seguito di una generalizzazione. Su questo sfondo la ricerca di un’identità “sicura”, specie in adolescenza, si incrocia con i canoni di bellezza veicolati dai media. Magrezza e perfezione vengono presentati come requisito fondamentale per il soddisfacimento dei bisogni affettivi: accettazione, riconoscimento, apprezzamento, attenzione, amore.
E i comportamenti abitudinari, specie quelli alimentari, che si ripetono e sono premianti possono diventare vere e proprie dipendenze, specialmente quando vengono a mancare le altre “cose buone” da cui normalmente si dipende: le relazioni, gli affetti, la scuola, lo sport. Negli ultimi anni si sono ridotte le opportunità di relazione tra pari e si sono ridotte le opportunità di acquisizione di quell’equilibrio emotivo che è necessario per un buon rapporto con se stessi e con il mondo. Accettare tristezza, stress, confusione e paura, ma accogliere anche la vicinanza, l’affetto, la protezione è il suggerimento da dare alle persone in difficoltà con l’obiettivo di superare la ricerca della perfezione, di fare propria l’insicurezza confrontandosi con fiducia con l’imprevedibilità del mondo.
Lo sport è uno stile di vita che porta disciplina ed equilibrio ridefinendo il rapporto tra il cibo carburante dell’apparato muscoloscheletrico ed il rispetto del proprio corpo.