Andrea Puppo, “ecco come sono diventato il N1 del tennistavolo in Italia: famiglia, sacrifici e fair play”
di EDOARDO CASATI
Nel mondo del tennistavolo italiano, Andrea Puppo, 22 anni, si è fatto strada con talento e determinazione, raggiungendo il primo posto nel ranking italiano, dimostrando che dietro ogni successo c’è sempre un grande lavoro. Fin da piccolo, la sua famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nel suo percorso, accompagnandolo nelle sfide, nei sacrifici e nelle soddisfazioni che lo sport porta con sé.
Andrea, quando e come hai scoperto la passione per il tennistavolo?
“Ero un bambino, avevo solo 5 anni. Fin dagli inizi ho avuto questa passione grazie alla mia famiglia perché mio fratello già giocava a buonissimi livelli e anche papà. È stato il primo a giocare poi ha trascinato prima mio fratello e poi di conseguenza me”.
Hai provato altre discipline nella tua infanzia?
“Sì. Da piccolo ho provato anche altri sport come tennis e calcio ma, vedendo mio fratello che è stato in nazionale giovanile e papà che giocavano, quando ho dovuto scegliere ho scelto il tennistavolo”.
Qual è il primo ricordo che hai legato al tennistavolo e alla tua famiglia? Magari una trasferta, un torneo o un momento particolare vissuto insieme?
“Nonostante fossi molto piccolo, le trasferte per vedere mio fratello sono un qualcosa di indelebile dentro di me. Ogni volta che giocava per me era una sofferenza, ero sempre lì, con i miei genitori, a sostenerlo”.
Ricordi il momento in cui hai capito che il tennistavolo poteva diventare qualcosa di più di un semplice hobby?
“Sì, già agli Euro minichamps, competizione europea per i più giovani, sono arrivato un anno in finale e un anno in semifinale, perdendo tra l’altro con Alexis Lebrun. In Italia, solo Leonardo Mutti era riuscito a fare meglio. A livello europeo ho raggiunto grandi risultati tra gli juniores. Tutto ciò mi ha fatto capire che potesse diventare qualcosa di più. Vista la mia età, non ci pensavo, però grazie alla famiglia, agli allenatori ed alla nazionale ho intrapreso questa strada che fino ad ora si è rivelata quella giusta”.
Il supporto della famiglia è fondamentale per un atleta. Nel tuo caso, in che modo i tuoi genitori e i tuoi cari sono stati determinanti nel tuo percorso sportivo? In che modo ti sono vicini, ora, in tutte le trasferte?
“La famiglia è fondamentale per la crescita di un atleta. Dal mio punto di vista non posso fare altro che ringraziare i miei genitori e mio fratello che pur non vivendo più con loro, quasi tutti i giorni, ci sentiamo. Difficilmente vengono in trasferta alle mie partite però spesso papà viene alle mie gare più importanti e tra l’altro quando c’è faccio sempre delle grandi prestazioni, riesco a dare un qualcosina in più. Dopo ogni mia vittoria o ogni mia sconfitta mi sono vicini e penso sia fondamentale. Sono davvero fortunato ad avere due genitori così”.
Ci sono stati sacrifici che hai dovuto fare, sia tu che loro, per permetterti di arrivare a questo livello?
“Per raggiungere alti livelli bisogna fare dei sacrifici. Nel mio caso ho dovuto lasciare Genova, la mia città, molto presto. Sono cinque anni che vivo a Terni da solo. Lasciare casa penso sia un sacrificio enorme, un po’ come se dicessi okay do tutto per questo sport. Ho la fortuna di avere dei genitori che mi sono molto vicini, li sento come se fossero qui con me. Andare via, organizzarsi con gli studi, perdere tanti amici di scuola e quindi crearsi nuove amicizie, tutti sacrifici enormi che però mi hanno reso soddisfatto della strada intrapresa”.
Hai un aneddoto particolare legato alla tua famiglia che ti ha dato la forza di continuare in momenti difficili?
“La mia famiglia, che faccia una brutta prestazione o una bella, è sempre al mio fianco, soprattutto nei momenti difficili. In questi anni ce ne sono stati tanti, le cose non andavano bene, qualche persona non credeva più in me, ogni volta che parlo con loro mi sento meglio, mi danno la forza di andare avanti, sento la loro piena fiducia”.
C’è una frase o un consiglio che i tuoi genitori ti hanno dato e che ancora oggi porti con te prima di ogni partita?
“Quello che mi hanno detto sempre è di mettercela tutta ogni volta che entro in campo e di uscire senza rimpianti. Penso di riuscirci spesso, ultimamente, sia che vinca, sia che perda riesco a dare tutto. È un loro insegnamento che mi porto sin dall’infanzia. Il valore aggiunto che mi hanno sempre trasmesso è quello di non mollare mai, in qualsiasi situazione mi trovi in partita devo trovare il modo per dare il massimo”.
Il tennistavolo, come ogni sport, ha degli aspetti educativi. Quali sono?
“Penso sia uno sport molto educativo, penso sia uno degli sport più difficili. Tutte le componenti sono importanti. Componente fisica e mentale devono essere sempre al top. E’ un po’ come gli scacchi aggiungendo lo sforzo fisico. In una partita c’è l’aspetto mentale che può variare da un momento all’altro. Giocare a tennistavolo ti aiuta anche nella vita per capire certe cose, per provare a mantenere la calma nei momenti difficili che possono accadere in qualsiasi ambito quotidiano. Essendo uno sport molto mentale ti educa ad essere sempre lucido, in ogni occasione”.
Il fair play è quel qualcosa che dà un valore aggiunto allo sport, come lo si può mettere in campo in questa disciplina?
“Beh, penso che il fair play nel tennistavolo, soprattutto italiano, ce ne sia molto rispetto ad altri sport perché ci conosciamo tutti. Siamo molto amici, viviamo quasi tutti a Terni insieme. Anche ai recenti campionati italiani ci siamo scontrati tra di noi come sempre accade, c’è stata correttezza, c’è stato veramente fair play alla grande. Se ci fosse stato uno spigolo dubbio non avrei esitato e anche il mio avversario non lo avrebbe fatto quindi da quel punto di vista in Italia siamo messi molto bene. In questo sport devo dire che rispetto ad altri c’è molto fair play poi all’estero può capitare che ci sia qualche punto discusso e magari qualche atleta di altra nazione faccia un po’ il furbo però nel mondo italiano il tennistavolo penso sia una delle realtà più sportive. Non è scontato anche vedere ai campionati italiani io che dopo la sconfitta in semifinale faccio i complimenti a Jordi o uguale, in finale, Jordi quando quando ha perso con Oyebode”.
Nello sport, il risultato è solo la goccia finale di tutto un lungo percorso, le soddisfazioni, secondo te, arrivano solo dalle vittorie?
“Il risultato è molto importante, come sappiamo tutti, però non è tutto, perché c’è sempre un lavoro dietro che la gente non vede. Gli allenamenti, le fatiche, i sacrifici per arrivare a questo livello, quindi, anche partecipare a una competizione molto importante come possono essere i mondiali o gli europei ti dà gratitudine, è una grande soddisfazione solo esserci: uno gioca per vincere però non penso il risultato sia tutto. Penso che uno debba cercare di dare il 100% ogni partita e poi vedere alla fine perché c’è anche un avversario. Non sempre si riesce a giocare al proprio massimo però penso che la cosa più importante sia uscire dal campo senza avere rimpianti. Il risultato non diventa vitale se uno sa di aver dato sempre il 100%, di aver fatto tutto bene, prima o poi il risultato arriverà”.