“Meglio Social o mal accompagnati”: la Nuova Virtus Cesena lancia la campagna di educazione degli adulti
di STEFANO RAVAGLIA
“Educare i giovani”, “educare i ragazzi”, “educare gli adulti di domani”, si suol dire. Negli slogan, negli spot, nei buoni propositi di chi vuole un mondo migliore. Ma deplorevoli fatti accaduti nelle ultime settimane in ambito sportivo (tra poco ve li elenchiamo), impongono una riflessione completamente diversa e molto più preoccupante, ovvero quella del bisogno di educare gli adulti. I genitori di oggi non sono più quelli di ieri, quell’adolescenza perenne di cui psicologi e psicoterapeuti parlano sovente, davvero non si interrompe mai, con il risultato che talvolta quei giovani che vogliamo tanto educare sono più adulti degli adulti.
I brutti episodi, dicevamo: pochi giorni fa una ragazza arbitro di 16 anni che arbitrava una partita di quindicenni maschi, è stata pesantemente insultata da un gruppo di genitori in tribuna. A metà marzo, durante la finale del torneo Scoiattoli (parliamo di bambini di 7-8 anni) di Minibasket a San Vincenzo, tra Rosignano e Follonica, è scoppiata addirittura una rissa tra alcuni genitori che è stata sedata dall’intervento di carabinieri e polizia municipale. Un episodio ancora più increscioso è stato invece quello accaduto nella partita di basket femminile tra Nuova Virtus Cesena e Happy Rimini Under-19 a inizio febbraio, quando la madre di due giocatrici della Nuova Virtus ha insultato una avversaria di colore dandole della “scimmia”.
Ecco allora che proprio la Nuova Virtus Cesena, anch’essa naturalmente parte lesa della vicenda, lunedì 7 aprile ha inaugurato un percorso di formazione dal titolo emblematico: “Meglio social o mal accompagnati”. Il prossimo appuntamento è fissato per fine maggio, dopo la serata inaugurale che ha visto la partecipazione di Stefano Armuzzi e Iacopo Casadei, esperti con un vasto bagaglio di esperienza nel mondo delle neuroscienze e della psicologia, che hanno guidato i presenti al riconoscimento del talento e al lavoro che c’è da fare per riconoscerlo e supportarlo. Tutto qui? Manco per sogno, poiché l’occasione è stata propizia anche per parlare anche di tutto ciò che sta intorno a un giovane atleta che deve lavorare sodo, in un mondo sempre più votato a scegliere la strada più breve per il successo, ma che necessita anche di persone intorno a sé che ne riconoscano le qualità e lo aiutino a tirarle fuori al meglio possibile.
Supporto appunto, ciò che manca sempre più, come spiegato, da chi osserva le partite all’esterno del campo di gioco. Si dice sempre che lo sport sia palestra di vita ed è realmente così: lavorare di gruppo e non individualmente, essere altruisti e non egoisti, rispettare l’avversario, e soprattutto non farsi scoraggiare dai momenti no. In una società sempre più connessa ma sempre più sola, che vuol mostrarsi forte ma che in realtà è debolissima, il riconoscimento del talento va raggiunto anche con una ottima dose di umiltà, quella che molti adulti, anche qui sintomo di poca maturità ed educazione, non hanno, ritenendo il loro figlio o figlia un campione o una campionessa, non accettando loro per primi una panchina del loro pupillo o un “no” come risposta dagli allenatori, persone sempre più sole che così come la scuola si trovano a fare gli insegnanti (in questo caso di tecnica e tattica) e anche le veci dei genitori.
Non è impedendo al proprio figlio o figlia di fare sport o di dedicare ore della giornata allo svago il modo migliore per tirar su menti lucide e positive. Non è mettendo davanti lo studio a discapito dell’esercizio, delle partite, dello sfogo di mani o piedi su un pallone che cresceranno adulti realizzati. “Se suo figlio facesse meno sport, avrebbe voti più alti”, è una massima purtroppo ancora gettonata da molti insegnanti, che vengono da una cultura vecchia, non vedono di là dal proprio naso e se ne infischiano di qualsiasi talento, appunto, sia sportivo che umano o sociale. Insomma, torniamo sempre lì: i giovanissimi vanno educati perché il mondo non lo conoscono e devono ancora scoprire tutto, ma dover arrivare a educare gli adulti che dovrebbero essere la bussola di quei giovanissimi, significa aver ribaltato qualsiasi concetto di percorso umano, di vita, di senso delle cose. Sempre più connessi e sempre più soli, dicevamo: talvolta è quasi meglio, se quelli che dovrebbero esser gli esempi sono peggio dei colpevoli.