Giochi anti razzisti, Carlo Balestri: “Educare quotidianamente per arricchire e non privare”
di STEFANO RAVAGLIA
Dal 20 al 22 giugno a Bologna e dal 10 al 13 luglio a Riace torna un importante appuntamento sportivo per tutti e con una missione importante: combattere l’intolleranza. Sono i Giochi Antirazzisti, giunti alla quarta edizione. Ne abbiamo parlato insieme al suo responsabile, Carlo Balestri.
Carlo, che cosa sono i Giochi Antirazzisti? “Sono un festival contro le discriminazioni che utilizza lo sport, anzi, il gioco, per aprire dei percorsi di intercultura e conoscenza tra le persone. La nostra idea è di destrutturare le regole delle varie discipline sportive con dei tornei in cui delle persone si incontrano, con il risultato finale ma senza un approcci competitivo ma conoscitivo. Saranno tornei di calcio a 7, pallavolo, basket, ci saranno tornei ed esibizioni di rugby. Oltre la parte sportiva abbiamo dei momenti di riflessione di carattere culturale e sociale con molte ONG impegnate con noi su queste tematiche, è una tre giorni molto densa corredata anche da musica e spettacoli”
Da dove nasce l’idea? “L’idea nasce dopo la pandemia. La prima edizione è stata nel 2022 e viene fuori da esperienze di singoli che avevano già dato il loro contributo a un’altra manifestazione che erano i Mondiali antirazzisti, quindi abbiamo mantenuto quel solco ma di per sé in un momento in cui la socializzazione e l’idea del diverso non è più molto praticata, vuole offrire la possibilità attraverso lo sport di praticare per gruppi estesi questo tipo di attività insieme. Questa è la quarta edizione”
Cosa ne pensi e come risolvere i tanti episodi di razzismo e intolleranza nello sport? “Non sono molto per la parte repressiva ma continuo a privilegiare la parte educativa che nel medio e lungo periodo potrebbe risolvere il problema. Serve una pratica quotidiana di agire per far mettere insieme persone diverse oltre alle scuole, e far vedere che dallo stare insieme nasce un arricchimento e non una privazione. La parte educativa è molto forte, invece che lavorare solo con i Daspo, i divieti d’accesso eccetera, serve un lavoro sociale, insieme ai giocatori, i diretti protagonisti che oltre a prendere un lauto stipendio hanno anche una responsabilità di carattere sociale. Questo potrebbe far sì che con un impegno diretto da parte dei club e di questi soggetti, e investendo e lavorando direttamente coi propri tifosi, certi comportamenti, che non dico che scompariranno, ma andrebbero a trasformarsi in un dialogo e un confronto e prenderebbero meno risalto di quanto hanno fino ad ora”