Il post career dell’ex calciatrice Katia Serra: “La visibilità per il calcio femminile è fondamentale”
di STEFANO RAVAGLIA
Ex calciatrice, commentatrice in TV delle vicende pallonare, docente in Università e un temperamento da combattente: abbiamo fatto una chiacchierata con Katia Serra, per parlare soprattutto di calcio femminile e della necessità di mantenere viva la visibilità e il dibattito su una disciplina sempre più al centro della quotidianità a tre anni dall’introduzione del professionismo (1 luglio 2022) anche e soprattutto grazie all’impegno della stessa Katia.
Vi riportiamo uno stralcio della nostra chiacchierata, che potrete trovare sul nostro canale Youtube. Si parte proprio dall’introduzione del professionismo e del percorso sinora intrapreso: “Il professionismo è stata una trasformazione epocale. Era indispensabile che le ragazze giocassero a calcio come lavoro. Già tantissime nazionali erano a quel livello, io ricordo invece quando giocavo io non me la vivevo mai come sfida. Tu eri un dopolavorista che giocavi in nazionale. Le altre lo facevano a tempo pieno e la sfida era sempre impari. Mi auguro che questo passaggio possa arrivare in altri sport femminili, significa oltre ad avere delle tutele anche avere i contributi previdenziali e avere uno sguardo al tuo futuro, non solo al tuo presente. Siamo in una fase di crescita, anche di problemi ma è indispensabile passare da questa fase per costruire la nostra sostenibilità”
Di recente due giocatrici di livello si sono ritirate dall’attività, Sara Gama e Alia Guagni. Katia spiega i due messaggi diversi ma altrettanto importanti che le due ragazze lanciano una volta finita la carriera: “Sara Gama l’ho coinvolta io dentro l’asso calciatori anche per fare un passaggio di testimone. Io non me ne occupo più e la sua bravura è stata quella non solo di aver giocato e aver fatto l’atleta con grande serietà e professionalità, ma anche di mettersi nei panni di una giocatrice che fosse riferimento per tutto il movimento. Lei ha sempre voluto diventare dirigente finita la carriera e ha iniziato a studiare presto per contribuire con le sue idee a quei cambiamenti normativi per far evolvere e progredire questo sport. E’ stato un esempio più unico che raro di una persona che mentre giocava si è impegnata a sviluppare il movimento. Lo facevo anche io, ma come detto dovevo anche lavorare… Alia Guagni, che ha partecipato anche lei alle iniziative per sviluppare il movimento, nel giorno del suo addio ha lanciato questa maglietta con il suo curriculum in campo ma con scritti anche i suoi titoli di studio e le sue esperienze professionali che ha fatto durante l’attività. E’ un messaggio importantissimo, ovvero che il nostro è uno sport che può essere ancora accompagnato dalla formazione e da piccole esperienze professionali che ti tengono legate alle realtà. E’ il tema del ‘dopo’: se non si fa così è difficilissimo ricollocarsi dopo aver smesso di giocare”.
Venendo al calcio giocato, dal 2031 il Mondiale femminile sarà a 48 squadra, ma secondo Katia la visibilità non basta: “La visibilità è importante, ma nel 2023 al Mondiale in Nuova Zelanda non erano stati venduti i diritti televisivi a due mesi dall’inizio. Si deve e si può fare di più per questi eventi”. La nostra chiacchierata ha toccato altri due temi: il Premio Bulgarelli, che premia tra gli altri anche la migliore centrocampista della stagione. Immergetevi dunque in questa densa intervista: come Quarto Posto terremo sempre alta la bandiera del calcio femminile.