Il calcio dei ragazzi e le parole tossiche degli adulti in tribuna
di ISABELLA GASPERINI
(Una psicologa a bordo campo)
“Daje ragazzi… la grinta!!!”
Così esordisce una mamma dalla tribuna prima che l’arbitro sancisca il fischio d’inizio della semifinale per il titolo regionale allievi, disputata da due squadre di Roma. Ma il tono della voce della mamma ahimè, non comunica l’intenzione di esortare ma piuttosto di scuotere la squadra ad essere più risoluta, ancor prima di aver realizzato la prima azione.
Io mi trovo lì da spettatrice neutrale, con l’intenzione di assistere a una bella partita che suppongo sin dall’inizio sia carica di adrenalina e tensione, visto che in palio c’è una qualificazione.
Prima riflessione: sono anni che siedo in tribuna o in panchina e più passa il tempo e più amo questo sport, il calcio.
Riflettendo sull’uscita della mamma “mental coach” che esorta infelicemente alla grinta mi dico tra me e me: “cominciamo bene!”, ma poi mi lascio andare a ciò che osservo. Mi perdo nella velocità delle azioni di gioco, nella potenza fisica di atletici adolescenti che sembrano giocolieri tenaci, nella scaltrezza caratteriale che alita da ognuno di loro semplicemente “vita”.
Seconda riflessione, disputare una partita dove c’è in palio qualcosa di importante è, per gli atleti, UNA COSA SERIA.
Si tratta di mettersi in discussione, di bramare il proprio successo, è quindi qualcosa che trova le sue radici nell’istinto di sopravvivenza. Proprio come in battaglia. Chi perde, in battaglia, è fatto. Può morire, può doversi sottomettere, può perdere tutto. Chi gioca a calcio anche, di fronte al rischio della sconfitta, ha il timore di perdere tutto, e spesso è proprio questo a destabilizzare la sua concentrazione e abbassare il livello della sua performance.
Allora attenzione. Come in ogni sport anche i calciatori che disputano il calcio a qualsiasi livello, se vogliono farlo bene, devono avvalersi almeno delle nozioni basilari della preparazione mentale. A dire il vero le tecniche legate soprattutto alla respirazione, dovrebbero essere alla portata di chiunque pratica sport, anche in palestra e senza dover necessariamente gareggiare. Si tratta di un aspetto dell’allenamento da perseguire come lo stretching o gli esercizi di defaticanento.
Terza riflessione. Quanta gente circola intorno agli atleti… altri calciatori, osservatori, genitori, qualcuno proprio fuori luogo.
Come la mamma (un’altra, rispetto a quella dell’inizio), che mentre sta finendo il primo tempo della partita grida “arbitro bastardo” a un ragazzo che più o meno ha l’età di suo figlio. Quando l’arbitro acerbo fischia il termine del primo tempo, dei papà della squadra che sta perdendo si riversa verso la rete per gridargli contro. A questo punto il portiere della squadra che sta vincendo, corre verso la rete dicendo loro “da dentro il campo è brutto da vedersi quello che state facendo. Per favore non lo fate più, fatelo per noi ragazzi”.
Conclusione: quando dalla tribuna guardiamo una partita di calcio, tutti noi dovremmo semplicemente metterci al posto di chi gioca, anche solo un secondo, prima di parlare.
Questa cosa si chiama empatia. I giovani che fanno sport lasciamoli giocare e viversi le loro dispute con serenità. Noi adulti proviamo ad assistere e basta. Gridargli, per esempio, “daje ragazzi, la grinta!” con tono di rimprovero, serve solo a chi enuncia una frase così per sfogare la tensione personale che si vive nel bramare una vittoria, una bramosia che conduce a vedere i ragazzi come lo strumento per realizzare ciò che si smania.
Perché a degli adolescenti non glielo dobbiamo mica dire di giocare con grinta. A 17 anni la grinta rinvigorisce all’impazzata ogni loro fascia muscolare in tutto ciò che fanno.
Allora, invece di parlare a vuoto, esortiamoli, perchè da noi si aspettano solo questo.