Aggressione agli arbitri, cartellino rosso alla violenza: la mossa dell’esecutivo
di FRANCESCO MAFERA
È ufficiale: d’ora in avanti chi aggredisce un arbitro durante lo svolgimento di una manifestazione sportiva, causandogli lesioni gravi o gravissime, rischia una pena detentiva fino a 16 anni. È quanto stabilisce il nuovo decreto legge “Sport”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 giugno 2025, che modifica significativamente l’articolo 583-quater del Codice penale.
Provvedimento concepito nel senso di “uomo avvisato, mezzo salvato”, che dopo anni di ipotesi al vaglio, di discussioni sul come, ma soprattutto sul se sia il caso di prendere davvero in mano la situazione, è stato emanato. Un segnale di discontinuità che, dopo un lungo temporeggiamento e in un lasso di tempo nel quale in molti hanno impunemente continuato ad approfittarne, dando vita ad altri episodi incresciosi, ha fatto scattare il nuovo, tanto atteso, dispositivo. Un nuovo strumento di contrasto alla violenza che si propone di diventare come implacabile scure nei confronti di coloro i quali agiranno in modo dissennato e impulsivo, anteponendo l’istinto alla ragione.
La norma, pensata per contrastare la crescente violenza nel mondo dello sport, estende ai direttori di gara – e ad altre figure incaricate della regolarità tecnica degli eventi sportivi – le tutele finora riservate a membri delle forze dell’ordine, del personale sanitario e di altri soggetti impegnati in funzioni pubbliche o di pubblico interesse. In base alla nuova formulazione dell’articolo 583-quater, dunque, anche chi aggredisce un arbitro o un ufficiale di gara potrà essere punito con la reclusione da otto a sedici anni in caso di lesioni gravissime, e da quattro a dieci anni in caso di lesioni gravi. Per le lesioni personali semplici, la pena prevista va invece da due a cinque anni.
Una prospettiva giuridica: gli eventuali punti critici dell’inquadramento normativo
La decisione forte da parte dell’esecutivo lo spinge però verso una linea di demarcazione abbastanza sottile tra una presa di posizione dovuta ed una possibile legittimazione di rango costituzionale. Un terreno fertile ma anche un po’ scivoloso quello sul quale si muove il suddetto decreto legge. Un decreto non scevro da rilievi critici sotto il profilo giuridico e politico. Anzitutto perchè la materia penale è soggetta a riserva di legge rinforzata: l’articolo 25, comma 2, della Costituzione prevede infatti che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Ciò implica che solo il Parlamento può legiferare in materia penale, e non il Governo, che attraverso lo strumento del decreto legge rischia di eludere il principio di legalità, specie se pone la fiducia su testi non ancora consolidati. Un ulteriore profilo problematico riguarda l’incertezza giuridica che ne deriva: i cittadini potrebbero non sapere con chiarezza quali condotte siano effettivamente punibili e con quali pene. Si pensi al caso, non del tutto remoto, in cui un tifoso venga arrestato e processato per direttissima durante la vigenza del decreto, con eventuali misure cautelari a suo carico, per poi assistere – nel caso di mancata conversione in legge – alla nullità degli atti processuali compiuti. Infine, sul piano della strategia repressiva, si può rilevare una politica miope poiché il decreto agisce ex post, sulla punizione dei colpevoli, piuttosto che su una prevenzione efficace.
Una politica che assume dunque i connotati di una posizione parzialmente giustizialista. Il che non escluderebbe la possibilità di eventuali modifiche future. Se da un lato, infatti, può ritenersi utile attivare sistemi repressivi, dall’altro il modo per applicarli deve essere improntato al rispetto dei principi costituzionali. Quasi come a dire che alle armi non si debba rispondere con altre armi, in modo da favorire l’istaurazione di un clima distensivo.
Le possibili alternative: contenimento del fenomeno attraverso strumenti di prevenzione anziché repressione sistematica
In tal senso, sarebbe stato forse più incisivo adottare misure amministrative preventive, come il divieto di accesso agli stadi per soggetti pregiudicati per reati contro la persona negli ultimi cinque anni. Una misura insomma non dissimile a quella già messa in pratica attraverso i famosi daspo e che potrebbe essere estesa con un maggior dispiegamento di forze dell’ordine anche presso manifestazioni sportive di minor rilievo.
Inoltre, come già analizzato nei mesi precedenti proprio da Quarto Posto News, una prima forma di prevenzione efficace è anche quella rappresentata dal tutor arbitrale, figura riconosciuta come uno dei primi interessanti rivolti conseguenti al diffondersi della problematica.
Una decisione, quella del Governo, che quindi porta con sè dei limiti oggettivi ma che ha comunque ragione di esistere in quanto foriera di nuovi impulsi positivi alla cultura sportiva del nostro movimento: un primo passo nel senso di una risposta vigorosa ai frequenti episodi di aggressione verificatisi nei confronti di arbitri e ufficiali di gara, in particolare a livello dilettantistico e giovanile. In quest’ottica il provvedimento può, se non altro, rappresentare un chiaro segnale di avviso ai naviganti del sempre più burrascoso mondo del calcio nostrano, dove il messaggio recapitato riferisce un concetto ben preciso, ovvero che la violenza nello sport non è più tollerata e che si tenterà di perseguirla con la massima severità possibile.
Una mossa dalla duplice valenza vista la doppia tutela, sia nei confronti dei direttori di gara che rispetto ai ragazzi nel garantire loro il buon esempio attraverso una stretta ferrea intorno ai comportamenti violenti. Una decisione che, date le proporzioni, seppur con le dovute cautele, può segnare una svolta culturale non più procrastinabile.