Simone Longo, una passione chiamata Ipswich Town e amore per i “Tractor Boys”
di STEFANO RAVAGLIA
Che il calcio inglese sia ormai una passione esplosa anche in Italia è conclamato da anni. Che lo sia non solo per il Liverpool o il Manchester City, ma anche per squadre come l’Ipswich Town, nobile protagonista di una Uefa vinta nel 1981, ma appena retrocessa dalla Premier League e con pochissimi acuti negli ultimi decenni, è un fatto ancor più sorprendente. Ma forse ancora più bello. Simone Longo, per “colpa” del fratello, si è innamorato dei “Tractor Boys”, tifo che affianca alla sua fede milanista. E insieme ad altri soci fa parte dell’Ipswich Town Italian Branch.
Simone come nasce la tua passione per l’Ipswich Town?
“Io sono del 1982, sono nato l’anno dopo la vittoria dell’Ipswich Town in Coppa Uefa. Mio fratello, più grande di me, se la ricorda bene. Rimase folgorato allora da quelle maglie blu. Quando giocavamo a Subbuteo, io prendevo il Milan e lui l’Ipswich. E così ha contagiato anche me, pur non forzandomi”.
Una passione nata contestualmente al calcio inglese:
“Sì, seguivo tutto il calcio d’oltremanica. La nazionale, la FA Cup sull’allora Capodistria/Telemontecarlo, e poi ovviamente il Guerin Sportivo. Lì vedevo i risultati dell’Ipswich in campionato”. Poi arrivò un Inter-Ipswich Town, nel 2001: “Bagarino e biglietto al primo anello blu, il biglietto non era falso e quindi potei finalmente seguire l’Ipswich al costo di 60 mila lire al primo anello blu. All’andata l’Ipswich aveva vinto, ma a Milano fu una mattanza. Nel 2011 faccio io un regalo a mio fratello: semifinale di League Cup contro l’Arsenal, cercai un biglietto per il ritorno all’Emirates e lo trovai a Picadilly al triplo del prezzo”.
“Il supporters Club, senza aver nulla in cambio, lascia la gestione ai vari referenti compresi quello italiano, e appena li sentii mi lasciarono addirittura tutta la gestione. Il Branch era nato nel 2007, quattro anni prima di quando lo rilevai. Nel tempo mi sono impegnato, ho fatto un blog, mi scrivevano, e siamo arrivati a una cinquantina di iscritti e partecipavamo sempre ai tornei tra i vari Branch come l’Italian Connection. Tutti insieme una volta all’anno andiamo su anche se col tempo ci organizziamo autonomamente subentrando varie questioni come età, figli, eccetera”. E Simone si è fatto anche un amico importante: “Carlos Edwards, ex capitano dell’Ipswich. Arrivò a darmi i suoi due biglietti che aveva dal club per andare su. Ci sentiamo spesso, siamo molto amici”
E sul campo? L’Ipswich è retrocesso, ma le basi sono molto solide: “La proprietà è americana ma hanno messo un CEO inglese, competente. Volevano andare in Premier entro 5 anni, ci sono riusciti entro due anni e mezzo. Ma soprattutto hanno investito sulle strutture: Portman Road, lo stadio, lo hanno ribaltato in meglio ed è addirittura omologato per la Champions League. E poi il nuovo campo di allenamento e l’Academy che ora è salita di livello, prima era in fascia 2 ora è Premier League. L’anno scorso è andata male anche perché c’è stato davvero parecchio divario e io tutta questa differenza non me l’aspettavo”.
Chiudiamo con un amarcord. La partita più particolare che ricordi di aver visto a Portman Road? Simone mi stupisce: “L’unica volta che sono andato senza biglietto, il giorno della promozione in Premier. Bastava un punto con l’Huddersfield. Dalla mattina nei pub, poi dovunque in città una grande festa ancora prima del fischio finale. Pensa che nel pub più importante della città, dopo la partita, la squadra era sul balcone dell’edificio a lanciare i cori. E poi sono scesi in strada, in mezzo ai tifosi. Cose inimmaginabili in Italia”

