I 75 anni di Dino Meneghin, primo eroe della sport longevity
di LUCA CORSOLINI
Rifiuta l’etichetta di Monumento Nazionale, ma la sua carriera ha cambiato il concetto di anzianità.
Ci sono compleanni la cui rilevanza va ben oltre il giorno da festeggiare. E’il caso di Dino Meneghin che ha appena compiuto, sabato 18 gennaio, 75 anni. Dino li ha festeggiati sempre rifiutando il titolo di Monumento Nazionale. Sui monumenti, ha detto nuovamente, ci fanno la cacca i piccioni, dunque dimostrandosi ancora, oggi, molto più discreto in giacca e cravatta di quanto non fosse in campo, ingombrante per fisico e per carisma . Ma sempre interpretando, pur in modo inconsapevole, quel suo stare sorpreso tra una serietà scherzosa e uno scherzo realizzato per davvero, il ruolo di miglior testimone possibile di un tema che oggi tutti stiamo scoprendo: la longevità.
L’Italia, come tanta parte del mondo, invecchia, invecchia sempre meglio, e infatti oggi non si cercano gli ultracentenari per attribuirgli un record, quanto piuttosto per carpire qualche segreto per imparare a vivere bene il più a lungo possibile. Intendiamoci, anche Dino ha i suoi acciacchi, ma davvero, ripeto, il suo ruolo non è quello del Monumento Nazionale, semmai quello di chi svela a tutti che i paradigmi della vita, sportiva e non solo, stanno cambiando.
Oggi, effetto combinato di allenamenti migliori e di un professionismo diffuso, sono sempre di più gli atleti che arrivano agli anta, i quaranta, che qualche anno fa erano invece un miraggio. Dino è stato contemporaneo di Zoff, che pure era un portiere molto meno impegnato di quanto non siano oggi i suoi successori; è stato contemporaneo di Buffon, entrambi arrivati a festeggiare gli anta in campo Poi ha lanciato la volata ai big three del tennis e, soprattutto, a LeBron James. Per il desiderio romantico di LeBron di continuare a giocare per potersi ritrovare in campo con suo figlio si è detto tanto, perfino troppo in Italia dove quella storia l’abbiamo vissuta proprio con Dino, e Andrea, suo figlio, in campo insieme da avversari, E poi insieme, con il padre dirigente della Nazionale e il figlio in campo come leader azzurro troppo presto fermato da un fisico forte come quello del padre ma più fragile.
Dino, che oggi non gioca più, magari in attesa del basket camminato che qualcuno dovrà inventare prima o poi, è stato l’apripista dei tanti anta che sono invece tornati a giocare, o che magari cominciano ora. Non solo basket: il calcetto del lunedì, il padel con gli amici, il trathlon che è fin troppo esasperato, e per questo piace. Oggi non ci sono più le vecchie glorie: le rivoluzioni cominciano spesso dal linguaggio, e infatti adesso i campionati degli anta si chiamano Masters, o addirittura Legends, Nessuna polvere da togliersi di dosso prima di una gara o di una uscita in bicicletta, semmai la dichiarata intenzione di celebrare la Audacity of Hoop ( canestro ), titolo di un libro dedicato al più celebre club di antaplayers, quello che Barack Obama, appassionato cestista, convocava per giocare sul playground della Casa Bianca, e audacity of hoop era un richiamo diretto all’audacity of hope, il manifesto del presidente Usa.
Fino a Dino pensavamo che la carriera di uno sportivo potesse avere un limite attorno ai 35 anni, dopo di lui, e con lui ovviamente, siamo entrati nell’era della longevità sportiva e sociale che lo sport italiano non ha ancora capito appieno, con le federazioni che stanno lasciando questo mercato crescente agli enti di promozione, come se a una certa si praticassero sport diversi e non invece lo stesso sport in modo nuovo, con limiti anagrafici continuamente aggiornati anche a beneficio della società.
Insomma, ha ragione proprio lui: non è un Monumento Nazionale, Dino Meneghin è il primo supereroe della longevità con cui stiamo facendo i conti tutti.