E se la politica di Trump….3 scenari nello Sport System
di LUCA CORSOLINI
E se …
E se la politica spavalda di Trump – dazi annunciati e poi sospesi, un’arroganza che ha già raccolto fischi per l’inno USA prima delle partite NBA e NHL – sconfinasse nello sport, quali effetti potrebbe scatenare?
Ci sono almeno tre scenari da considerare:
•Quello politico, con i grandi eventi più o meno inevitabilmente influenzati dalle visioni, diciamo così, di POTUS (President of the United States).
•Quello commerciale, che riguarda noi tutti, fedeli di quella religione chiamata sportswear e in nome della quale compriamo abbigliamento e, soprattutto, scarpe – anzi, sneakers – inchinandoci davanti a sacerdoti che si chiamano Michael Jordan o Lionel Messi.
•Infine, quello propriamente sportivo, che però ha tante declinazioni.
Il lato sportivo
Partiamo da qui. La Serie A, ad esempio, è ormai per 11 squadre su 20 in mano a proprietà straniere, con quelle americane in posizione dominante. Al momento, nel mirino sembra esserci solo Saputo, proprietario canadese del Bologna, la cui attività di famiglia è la distribuzione di prodotti alimentari in tutto il Nord America.
Prima o poi bisognerà chiedergli se è più preoccupato dei dazi o del ritorno dei rossoblù in Europa. E se – ritornello ispiratore di queste riflessioni – Trump dicesse, anzi, alla sua maniera ordinasse di riportare a casa tanti capitali? Scenderebbe, se non la notte, una nebbia fitta sul nostro calcio, che peraltro ha poche tentazioni, in termini di giocatori americani da importare, per placare l’ira funesta dell’inquilino della Casa Bianca.
E gli altri sport? Alla vigilia di Los Angeles 2028, non bisogna pensare solo alla NBA. Gli USA sono qualificati di diritto in tutte le discipline e infatti si stanno muovendo anche, per dire, nella pallamano, hanno voluto il lacrosse nel programma e hanno aggiunto il cricket al calendario, prima dell’avvento di Trump, pensando che le partite di questo sport da immigrati – detto senza offesa – si debbano tenere a New York.
È la NBA l’unico caso da considerare: oltre 120 giocatori international (il solo Fontecchio per l’Italia), quest’anno divisi in 30 squadre, il passaggio di Luka Dončić – sloveno, come la moglie di Trump! – da Dallas a Los Angeles come notizia del momento… Niente impedisce di pensare a sviluppi clamorosi causati dalla visione di Trump.
Basta con la presenza NBA in Africa, anche perché è un progetto sostenuto da Obama. Freno a mano sulle intenzioni europee del commissioner della lega, Adam Silver.
Quali ritorsioni potremmo varare noi? Basta giocatori americani nelle squadre di basket? Sarebbe notte fonda subito. Basta partecipanti europei alla Maratona di New York? Ecco, questo sì sarebbe un colpaccio. Ma barattiamo tanti campionati per la corsa, pur lunga, di un solo giorno?
Il piano politico
Gli USA si apprestano a essere host, ovvero paese organizzatore e ospitante di:
•Mondiale per club di calcio (estate 2025)
•Mondiale di calcio 2026 (con Messico e Canada! Come la mettiamo?)
•Olimpiade estiva 2028
•Olimpiade invernale 2034 nello Utah
Nessun candidato USA per l’elezione, a marzo, del nuovo presidente del Comitato Olimpico Internazionale. Il meglio piazzato sembra essere Gianni Infantino, presidente FIFA, che infatti era – furbizia sua e invito strategico/concessione di Trump – a Washington il giorno dell’insediamento del presidente.
Il calcio ormai è uno degli strumenti principali del neanche tanto soft power celebrato ovunque. Lo hanno dimostrato prima il Qatar e ora l’Arabia Saudita (che ospiterà il Mondiale 2034 e intanto ha finanziato, via DAZN, il Mondiale per Club). Trump ha una posizione di forza, ma qui l’Europa può tranquillamente conservare il suo primato: la UEFA è più forte della FIFA (che pure vuol dire paura …). Bisognerà però valutare gli effetti del secondo Mondiale negli USA dopo 32 anni.
Sono cambiati gli Stati Uniti da quelli dei tempi del rigore di Baggio a Pasadena, ma se anche Meryl Streep ha sentito in questi giorni il bisogno di sottolineare che le MMA (Mixed Martial Arts) non sono per nulla un’arte, significa che qualche segnale di pericolo si comincia ad avvertire.
Dobbiamo prepararci a meno fair play? A un’ostentazione del risultato invece che, ahinoi, di un … quarto posto?
Quali freni abbiamo per rallentare la potente marcia di Trump? Gli ricordiamo che Enel è sponsor mondiale delle gare di MotoE e di FormulaE? A Donald queste garette da luna park con macchine elettriche, questo pensa, non interessano per niente.
Meglio poi non svegliare il can che dorme, altrimenti partono i dazi (arriveranno…) sulle auto, che sono il nostro vanto. E se la Ferrari non vende più negli USA, anche la Formula 1 rischia di restare ai box.
Il piano commerciale
Il più curioso e divertente da immaginare.
Prima di inventare la Nike, Phil Knight era un distributore della Onitsuka Tiger, che oggi conosciamo come Asics (tranquillo Donald, non è un nome da extraterrestri che ci vogliono aggredire: è la sigla di Anima Sana In Corpore Sano) e viveva in un mondo a tre strisce.
Oggi adidas, le tre strisce appunto, è seconda al mondo e – guarda caso – ha il quartier generale in una ex base dell’esercito USA a Herzogenaurach, vicino a Norimberga.
Torneremo tutti, in Europa, a vestire adidas? E On (il brand di Roger Federer, in grande ascesa), e Hoka (Svezia), e Mizuno (Giappone), e tutti i marchi più piccoli del made in Italy – da Diadora ai big dell’outdoor come La Sportiva, Scarpa e Dolomite, per non parlare dei Moon Boot della Tecnica, che guarda caso hanno appena lanciato una collezione con adidas?
Basta Nike, basta Air Jordan (non possiamo contare su Michael come alleato contro Trump, perché Trump se ne frega), basta New Balance, così di moda, basta Saucony, basta Under Armour?
Vetrine di Foot Locker abbassate in tutta Europa e festa per Cisalfa, noi italiani, che ha appena acquistato la catena tedesca Sport Voswinkel.
È questa la partita, la rivincita che ci aspetta?
E se Trump invece la prendesse con più sportività e si desse una calmata?