Come Comunicare la Disabilità: Persona first. Le linee guida dell’Ordine dei Giornalisti
di MARTA MULE’
Dal loro esordio a Roma nel 1960 i Giochi Paralimpici hanno acquisito una rilevanza e una visibilità sempre maggiore a ogni edizione. Hanno valorizzato tanti atleti, dando loro la possibilità di essere visti per le loro abilità sportive e di essere raccontati. Già negli anni ’90 diversi comitati paralimpici hanno iniziato a distribuire opuscoli per invitare gli addetti ai lavori a utilizzare un linguaggio consono in modo da evitare discriminazioni. Partendo dal presupposto che le parole sono importanti, infatti, si può anche affermare che con le parole giuste si può valorizzare la persona a prescindere dalla sua condizione e si può insegnare a una comunità più ampia a fare lo stesso.
Con questo obiettivo nel 2024 l’Ordine dei Giornalisti ha deciso di pubblicare una guida per racchiudere alcune linee di indirizzo per parlare in maniera appropriata delle persone con disabilità, rispettando la loro dignità e aggiornando il linguaggio con la sensibilità di oggi.
Le persone con disabilità sono la più grande minoranza sociale al mondo. Rappresentano il 20% della popolazione globale e solo in Italia sono quasi 13 milioni. I giornalisti hanno il compito di parlare di loro usando parole corrette per fare in modo che certi termini diventino di uso comune e che altri, ritenuti offensivi o superati, vengano definitivamente abbandonati. Il linguaggio è una materia in continua trasformazione e, per questo, occorre essere aggiornati e non pensare mai di saperne già abbastanza perché quello che era ritenuto adeguato dieci anni fa, forse oggi non è più al passo coi tempi.
Nella guida “Comunicare la disabilità” dell’Ordine dei Giornalisti la regola da cui si parte è che, quando si racconta, al centro ci deve sempre essere la persona, mentre la sua condizione dovrebbe essere segnalata successivamente. Per questo occorre dire “persona con disabilità” e non “disabile”. Allo stesso modo è da evitare il termine “normodotato”, perché allude a una normalità che, di conseguenza, si distinguerebbe da un’anomalia che sarebbe la disabilità.
Le parole che oggi acquisiamo come corrette sono il frutto di numerosi passaggi. Nella guida si legge: «Siamo partiti, nel tempo, da “handicappato”, “invalido”, per arrivare prima a “diversamente abile” e, oggi, a una definizione che ha lo spessore della conquista, perché mette al centro la persona, con i suoi diritti soggettivi e le libertà fondamentali, non una delle sue molteplici caratteristiche: persona con disabilità».
Il primo documento che definisce la persona con disabilità è del 1975 ed è la Dichiarazione sui diritti delle persone disabili delle Nazioni Unite che sancisce il loro diritto a essere trattate in maniera egualitaria rispetto agli altri. Il punto uno definisce la persona disabile come «qualsiasi persona impossibilitata ad assicurare da sé, in tutto o in parte, le necessità di una normale vita individuale e/o sociale, a causa di una deficienza, congenita o meno, delle sue condizioni fisiche, o capacità mentali».
Le parole che si usano determinano anche i comportamenti che si adottano perché il linguaggio influenza la società e viceversa. Quando si parla di disabilità bisogna sapere che non ci si deve esprimere per sottrazione, ponendo in evidenza la mancanza: si dovrà dire “cieco” e non “non vedente”, così come “sordo” e non “non udente”. L’ideale è mantenere un atteggiamento neutro, senza omettere la disabilità, ma senza rischiare che prevalga sull’individuo. Bisogna sempre ricordare che le persone con disabilità hanno una vita che va oltre la loro condizione. Hanno un lavoro, una famiglia, dei sogni, una storia e l’attenzione deve essere rivolta a tutti questi aspetti e non solo a una parte.
Un altro errore da non commettere è quello di considerare la persona con disabilità come se fosse malata perché non è necessariamente così: non si devono confondere patologia e disabilità.
Anche il tono usato è da calibrare. Quando si racconta di persone con disabilità non ci si deve abbandonare all’emotività e al pietismo, ma allo stesso modo non è giusto descriverle come fossero eroi. Il sensazionalismo svilisce l’argomento, oltre a creare dei modelli che non fanno bene a nessuno. I campioni paralimpici, per esempio, non devono essere raccontati come supereroi che fanno cose straordinarie “nonostante” la loro disabilità, ma come atleti che hanno saputo ottenere un grande risultato “con” la loro disabilità.
La disabilità non è qualcosa di speciale, ma va normalizzata. Ci sono poi tante tipologie di disabilità, che non sempre sono visibili come quelle fisiche. Esistono ancora molti stereotipi sulle persone con disabilità intellettive, così come è ancora troppo comune usare alcune terminologie della disabilità come insulto. Per questo la guida propone nei suoi capitoli finali tutte le alternative corrette, dando suggerimenti e spiegando perché alcuni termini sono da abolire e altri da preferire.
A meno di un anno dai Giochi Olimpici e Paralimpici di Milano Cortina 2026 leggere questa guida è l’occasione per aggiornarsi e mettersi in discussione e scoprire, anche attraverso lo sport, come parlare in maniera rispettosa puntando sulle abilità degli atleti e di tutte le persone e raccontando chi sono a tutto tondo. Un linguaggio inclusivo è un primo passo per abbattere le barriere.