Il mini-basket “multilingue” e senza barriere: il sogno inclusivo di Marzio Longhin è realtà
di LUCA CORSOLINI
Si può trovare un arcobaleno anche nei posti più impensati. Nei giorni scorsi, a Pordenone per il commiato a mia zia, ho incontrato nel parcheggio di una sala del commiato un amico di vecchia data. Non vedevo Marzio Longhin da un pezzo, ma, anche per una vicinanza non semplicemente cestistica che mi fa dire che lui non fa l’allenatore, perché è un allenatore, è stato facile e anche bello tornare subito in sintonia.
Così mi racconta della sua eterna battaglia con chi vorrebbe fermarlo, ovvero frenarne la passione, come se questa invece che un contagio positivo fosse una malattia da curare. Mi dice delle sue rivincite che vengono, sempre, da giocatrici e giocatori. Poi mi racconta l’ultimo sogno, che realizza quasi ogni giorno, anche grazie alla complicità di sua moglie Agnese.
Ha fondato un’altra società, probabilmente non l’ultima: Mi.Ba., nome semplice per introdurre non solo il mini-basket ma anche e soprattutto un’idea di società, un modello di società civile intendo.
La società è aperta a bambine e bambini nati in Italia, ma figli di extracomunitari. “E lo sappiamo tutti, che ci sono due linguaggi universali. Uno è il cibo, l’altro è lo sport. Il pallone è lo stesso in tutto il mondo, il canestro pure. Non è difficile capirsi, cominciare almeno”.
Per abbattere le ultime diffidenze, che sono quelle dei genitori, la Mi.Ba. ha altre due particolarità: non chiede una quota di partecipazione e regala a tutti un pallone. E non tutti riescono a fare i conti con questa generosità. Marzio tira dritto, non chiede da dove vengono le famiglie, gli basta che figlie e figli entrino in palestra: “ Tutti trovano qui il loro mondo, un mondo possibile. Insieme: Ci sono cinesi, eritrei, bengalesi, ogni provenienza. Ma siamo soprattutto un punto di arrivo e di ritorno una squadra e una famiglia”.
Al punto che nei giorni scorsi una bambina si presenta da Marzio e gli dice: “Ehy, maestro, ho fatto il basket”, e gli regala un canestro realizzato con un cartoncino. Lui, che è allenatore, in missione, e non fa l’allenatore, si commenta nel raccontare l’episodio. Segnatevi il nome: Mi.Ba. Diffidate dalle imitazioni ma prendete pure spunto: copiare in questo caso è più che lecito