“Sport e tecnologia? Voto, 5 e mezzo”, intervista a Federico Smanio di Wylab
di LUCA CORSOLINI
Non è tutto sbagliato, tutto da rifare. Si parla della Juventus in una stagione sportivamente difficile, in cui la società bianconera ha comunque saputo ribadire un suo primato in fatto di innovazione. E’ successo quando, nella marcia di avvicinamento che dovrebbe essere di tutto il Paese a un evento come i Giochi Olimpici, proprio Juventus Forward ha dato e motore e spinta al DemoDay di We Sport Up, una squadra ancora non conosciuta e comunque già in …campo con la doppia divisa di Sport e Salute e Wylab per aiutare l’ecosistema delle sport up, ovvero di quelle start up che hanno scelto come terreno per la loro attività lo sport.
Federico Smanio è per competenza, diciamo meglio competenze, e per passione, la persona che meglio può fotografare questo mondo che lui frequenta quotidianamente come amministratore delegato di Wylab, la società che da Chiavari, uffici in un vecchio liceo ristrutturato, a dire che persino i nuovi saperi non possono fare a meno dei vecchi, è il primo incubatore di start up sport tech
“Al Demo Day di WeSportUp non c’erano soltanto le 9 startup qualificate ma anche alcune realtà che hanno preso parte ai primi 2 programmi di accelerazione e che stanno dimostrando progressi notevoli – ci racconta – WeSportUp nasce infatti con la visione di creare un vero e proprio ecosistema perché siamo partiti dalla oggettiva constatazione che tale sistema non esisteva. L’Italia è infatti una briciola nell’ecosistema dello sport-tech globale dominato da Nord America (USA e Canada) e Asia Pacific (Cina e India). E oggi? Beh, Roma non è stata costruita in un giorno… ma alcuni segnali importanti li voglio cogliere. Per esempio, abbiamo costruito un database di 1.700 startup verticali su sport e benessere; ricevuto oltre 1.100 candidature provenienti per il 70% da paesi esteri; investito 2 milioni di Euro nelle startup del programma con un mix di capitali pubblici e privati; altri 2 milioni di Euro sono stati raccolti dalle stesse startup post programma; abbiamo anche attivato;una community di +50 mentor attivi che siamo riusciti a riunire nella comune passione per lo sport e l’innovazione. Tuttavia, dobbiamo ammettere che In Italia scontiamo ancora due gravi gap: mancano i capitali necessari affinché nascano più startup, quelle che nascono crescono molto meno velocemente dei concorrenti internazionali e manca l’ambiente corporate sportivo adatto a recepire le loro soluzioni, in altre parole un mercato di destinazione sufficientemente grande. E non è poco conto.
C’è un tratto in comune tra le varie sport tech o ognuna ha una sua originalità?
“Ognuna è diversa, quello che posso dire con grande convinzione è che queste 9 startup hanno in comune la grande convinzione e competenza dei propri founder. Il gruppo si è mosso coeso fin dall’inizio del programma dimostrando l’approccio giusto al coaching, la curiosità di cercare strade diverse e l’umiltà di accettare ogni suggerimento e considerazione, qualità che risultano essere tra le caratteristiche più importanti dei bravi imprenditori. E, cosa non scontata, sono riusciti a fare veramente squadra tra di loro, anche grazie ad un format che ha facilitato la relazione tra le diverse startup”.
Rapporto sport italiano tecnologia: a che punto siamo?
“Ancora non arriviamo alla sufficienza. Ci meritiamo un 5 e mezzo. Non che lo sport non cerchi l’innovazione. Lo sport per sua natura è spinto ad innovare, ad usare l’innovazione come motore di crescita, sono elementi tipici del suo Dna. Ma quello che osservo da ormai più di 10 anni (e sono quasi 30 che opero nello sport professionistico) è che lo fa in modo poco strutturato, molto spesso solo per il miglioramento delle performance, e ricorrendo, per chi se lo può permettere, alle soluzioni di aziende consolidate nel mercato. Esistono rarissimi casi di programmi strutturati di lavoro e strategicamente pensati per collaborare con le startup, e Juventus è un bell’esempio e l’innovazione non sembra occupare uno spazio nelle agende di chi sta al vertice dello sport italiano. Per innovazione intendo un processo organizzato che preveda almeno una persona, nei casi più virtuosi un team vero e proprio che, con mandato forte dalla proprietà, faccia da collante tra l’impresa e le sue persone e il mondo degli innovatori esterni all’impresa e che possa rappresentare il punto di riferimento in tutti i progetti dove entrano in gioco le nuove tecnologie e lo sviluppo di soluzioni per migliorare e far crescere il business. Non può essere confinato al marketing, o all’area sportiva solo per fare due esempi, ma deve essere cross-funzionale e abbracciare tutti i dipartimenti e le anime aziendali. Inoltre, è un processo continuo che non può essere limitato ad un orizzonte di breve termine, deve prevedere alcuni investimenti, quanto meno in persone, ed è difficilmente misurabile con le metriche classiche dei ricavi e dei costi. Ecco io questa roba non la vedo nello sport italiano. Vero è che si tratta di qualcosa di semi nuovo anche per gli altri settori dell’economia, ma mi sento di poter dire che lo sport fa sempre più fatica”.
Vi aspettiate una grossa spinta dai Giochi?
“Lo spero veramente, perché eventi come le Olimpiadi sono fondamentali per dare una spinta all’economia di un Paese. Tuttavia, la sensazione è che non si stia facendo gioco di squadra, come spesso succede nel nostro Paese e che ce ne interesseremo solo quando inizieranno. Onestamente, vista la nostra esperienza con Wylab e WeSportUp, mi sarei aspettato maggiore attenzione e interesse da parte dei responsabili del progetto a collaborare con noi per ricercare e convogliare verso i Giochi alcune tecnologie innovative sperimentabili prima, durante e dopo le competizioni. E questo avrebbe potuto essere una grande opportunità per testare le (soluzioni provenienti dalle) startup italiane in un contesto così importante e internazionale. Magari, come spesso succede, sul filo di lana riusciamo a mettere in pista qualcosa, ma mi sembra sia già troppo tardi.
(segue)