La storia di Sonny Colbrelli: quando l’unica cosa che conta è la vittoria … della vita
di FRANCESCO MAFERA
Con l’inizio della primavera ricorre anche un’altra data importante: quella di un anno dallo stop alle competizioni per Sonny Colbrelli, grande campione italiano ed europeo di ciclismo e vincitore della Parigi-Roubaix nel 2021. Un corridore esemplare per la sua passione smisurata per le corse su due ruote. Una passione che lo ha tormentato ma di cui, saggiamente, sta facendo a meno. Un sacrificio per lui, ma ben compensato dall’affetto dei cari, nella consapevolezza che di scontato nella vita non c’è nulla. Neanche la salute. Esattamente lo scorso 21 Marzo l’arresto cardiaco nella prima tappa del giro di Catalogna che compromette la sua competizione ma anche la possibilità di rimanere nel novero dei piú grandi a gareggiare.
La sua passione, diventata il suo lavoro, in uno sport che ha sempre amato alla follia è ridimensionata e si trasforma in un dolore che però si cerca di non far diventa ossessione. E cosi, improvvisamente, uno impara che con l’inizio di una nuova stagione, arriva anche l’inizio di una nuova vita. Che lascia traccia ma ti arricchisce come non mai. Ed è una benedizione: c’è la possibilità di riassaporare il passato, ma anche di fare nuove esperienze: come quella che avviene, ad esempio, nell’incontro con un ragazzino che chiede al campione di raccontargli le sue gare perché vuole fare una tesina su di lui o quella di scrivere una biografia dal titolo “con il cuore nel fango”.
Frase emblematica di uno stato d’animo travagliato ma nella capacità, nonostante tutto, di ripartire.
Uno spaccato di se stessi declinato in una storia nella quale il quasi trentacinquenne campione bresciano racconta di aver scelto la bici per la sensazione di libertà che questa ti dona. Quella libertà che adesso è croce ma che, poco a poco, potrebbe trasformarsi in delizia, come un ruscello che sgorga e che lentamente lava i pensieri e modella il sasso rendendolo piú malleabile. Perché il campione che conosce la fatica e dunque la sofferenza acquisisce quel senso di resilienza che gli consente di avere uno spessore morale superiore.
E cosi è anche per Sonny, che nella sua intervista a Il Corriere della Sera ammette: ”Era un lavoro, è diventato un passatempo che mi libera dai pensieri. È un cordone difficile da spezzare: io parlo e penso ancora da corridore. La bici mi ha dato e mi ha tolto. Ma la speranza è l’ultima a morire”.
L’accettazione come punto di ripartenza, magari chissà, per un percorso di vita con altri importanti risvolti. Sempre legato al mondo del ciclismo, ma in altre vesti. E forse, sempre con il team Bahrain Victorous del quale ha fatto parte in questo ultimo scorcio di carriera. Un amore viscerale per il ciclismo che supera anche il concetto stesso di competizione e che si infrange sui ricordi e si annida nei dettagli: “Mi sono rivisto li, mi sono rivisto entrare nella foresta di Arenberg, schivare una caduta, attraversare il traguardo coperto di fango. Che ricordi…”
Si, proprio quel fango e quei ricordi che però lasciano spazio alla coscienza di un domani diverso, ma non per questo di minor valore.
“Inizio a pensare cosa mi piacerebbe fare: di sicuro se non potessi più correre, resterei nel ciclismo, il mio mondo, la mia vita”. Parole che riecheggiano anche in quelle di chi ha vissuto una esperienza simile, quelle di Eriksen che gli scrive sui social dicendogli di non pensare a quello che è successo e di guardare dove è lui adesso. Del resto, ha l’affetto della sua famiglia Sonny. E della sua squadra, la Bahrain, che lo conforta. Gli è tornata indietro un’onda di amore pazzesca, come dice lui e che allora, in fondo, va anche bene così.
Perché, se davvero lo sport è vita, allora il suo scopo altro non è che quello di temprare ogni suo atleta. Un qualcosa che con i suoi valori diventi il tramite per rimandare a tutto ciò che conta davvero. Per avere il giusto spirito in ogni situazione.