“Il bambino non è adatto. E i mister non sono qui per educare”. Le epurazioni choc proseguono.
La nostra denuncia su quanto sta avvenendo in una storica e “prestigiosa” (tante virgolette) Società in Lombardia (“Suo figlio non ha la faccia da stronzo per fare strada nel mondo del calcio…”) non è passata inosservata. E continuano ad arrivare reazioni. E nuove testimonianze.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una mamma.
Hai la faccia da perdente, mi dispiace non funzioni….non importa se ho pianto e sofferto….(Cit. Masini…)
Caro Alessandro, in radio è partita questa storica canzone anni ‘80 e ho deciso di scriverti queste righe… Credo fermamente che una delle cose più importanti per noi genitori sia il supporto, la consapevolezza e la conoscenza di quello che scegliamo ogni giorno per i nostri figli. Con questo racconto vorrei riuscire a portare la nostra esperienza, per chi come noi (che poco sa dell’ambiente calcistico) si è trovato a vivere dopo aver scelto una realtà come la nota società XXX che, tutto ha tranne della “scuola calcio”…
Quando abbiamo scelto di iscrivere nostro figlio in questa società, tre anni fa, cercavamo una scuola che fosse un luogo di crescita, gestita da formatori competenti, dove il gioco di squadra, la collaborazione e il rispetto fossero i pilastri fondamentali. Volevamo che nostro figlio imparasse divertendosi e vivesse lo sport con entusiasmo e regole sane.
Ci siamo catapultati qui con tutte le rassicurazioni del caso e, nonostante le convincenti parole, cosa abbiamo trovato? Striscioni che recitano parole e valori, ma il campo racconta un’altra storia. Squadre costruite solo per vincere, bambini scartati perché “non adatti”, “è bello ma non balla”, allenatori giovanissimi senza qualifiche educative e genitori sempre più negativamente coinvolti nella “carriera” dei figli.
Il desiderio di un bambino di otto anni di giocare a pallone si trasforma così non in una partita ma in una corsa a ostacoli. Soprattutto nell’ultimo anno, tutto cambia. Un campo dove l’unico obiettivo è vincere a tutti i costi, squadre costruite ad hoc per escludere chi non è all’altezza e bambini trattati come numeri sulle magliette. Ci è stato chiaramente detto: “I mister non sono qui per educare”.
Ma, come possiamo affidare nostro figlio a persone che, pur avendo competenze tecniche, non sanno gestire le emozioni di un bambino di 6, 7 o 8 anni? Giovanissimi senza evidente preparazione pedagogica, diversi ogni anno, una ripartenza continua di conoscenza reciproca, zero punti di riferimento… Preferiscono e premiano solo chi si distingue ignorando chi ha bisogno di aiuto per imparare e migliorare… Dopo una giornata già impegnativa (sui banchi di scuola) dove la cosa più bella dovrebbe essere andare al campo, sgranchirsi le gambe, correre all’aria aperta divertirsi, imparare, crescere… invece? No! Con il cuore pieno di sentimenti difficili da digerire queste parole vengono riportate con profonda tristezza : “lo so che tanto il mister preferisce X a me, a X fa scegliere la squadra a noi ci fa a stare li, non ci hanno convocati, ma se continuano a non farci giocare come possiamo imparare (cit. bambino 8 anni) e poi ancora…mi chiama sempre con quel tono e per cognome”…
A sette/otto anni, come si può già escludere un bambino? Il talento e la passione, in questa fascia di età, non dovrebbero essere in continua evoluzione? “E no ma non è portato, è esile, non ha il fisico giusto, non è motivato, è impensabile che reagisca così, non ci sarà selezione per questa fascia d’età” e ancora ancora ancora, sono solo alcune delle assurdità che noi genitori ci siamo sentiti dire……risultato: già dai primi mesi pressioni, discriminazioni fisiche e mentali che hanno portato l’abbandono precoce da parte di alcuni piccoli atleti… amicizie allontanate, equilibri da rimettere in gioco per il bene dei bambini (che se ne vanno via)!
La cosa peggiore è vedere i compagni che si offendono in campo per un goal mancato o un goal preso, che si insultano negli spogliatoi, che si ignorano anziché aiutarsi, che si prendono a spintoni o gambe falciate per un pallone, senza che nessuno intervenga in modo costruttivo per spiegare cosa significa essere squadra.
Arriviamo ora alla fine (fortunatamente oserei dire) della nostra esperienza e non si smentiscono, fino all’ultimo, un altra caduta (di gestione), un’altra ferita per i bambini che vengono davvero trattati come pedine: “scusate, ci siamo organizzati male e 3 bambini non possono partecipare a uno degli ultimi tornei più divertenti…”. Forse per questa società piazzare 3 bambini e dico solo 3 in ben 2 tornei di tutto il weekend è un impresa impossibile? Però per 3 bimbi deve essere un impresa davvero eccezionale accettare le loro NON giustificate scelte! In questa specifica realtà, il calcio NON è uno sport per tutti, NON è un’esperienza di crescita e inclusione ma solo una selezione precoce basata su criteri discutibili. Non vogliamo che il silenzio assordante permanga intorno a queste dinamiche serve fare informazione e divulgare davvero quello che si nasconde dietro la facciata!
Grazie Manuela